I meccanismi difensivi

Indice

Difesa
Meccanismi di difesa
Rimozione
Annullamento retroattivo
Conversione
Conversione nell’opposto
Diniego (della realtà)
Formazione reattiva
Idealizzazione
Identificazione
Identificazione con l’aggressore
Identificazione proiettiva
Introiezione
Isolamento
Negazione
Preclusione
Proiezione
Razionalizzazione
Regressione
Repressione
Riflessione sulla propria persona
Riparazione
Scissione dell’Io
Scissione dell’oggetto
Spostamento

 

DIFESA. = D. : Abwehr.

• Complesso di operazioni la cui finalità è di ridurre e sopprimere ogni modificazione che possa mettere in pericolo l'integrità e la costanza dell'individuo biopsicologico. In quanto istanza che incarna questa costanza e cerca di mantenerla, l'Io può essere descritto come la posta in gioco e l'agente di tali operazioni. La difesa è rivolta, in generale, contro l'eccitazione interna (pulsione) e, elettivamente, contro una rappresentazione (ricordo, fantasma) legata all'eccitazione o contro una situazione capace di provocarla, nella misura in cui tale eccitazione è incompatibile con l'equilibrio interno e quindi spiacevole per l'Io. La difesa può essere diretta anche contro gli affetti spiacevoli che sono motivi o segnali della difesa. Il processo difensivo utilizza determinati meccanismi di difesa più o meno integrati nell'Io. Segnata e permeata dalla pulsione, contro cui è diretta in ultima analisi, la difesa assume spesso un andamento coatto e opera almeno parzialmente in modo inconscio.

• E' stato col mettere in primo piano la nozione di difesa nell'isteria e subito dopo in altre psiconevrosi, che Freud ha definito la propria concezione della vita psichica in opposizione alle idee dei suoi contemporanei. Gli Studi sull'isteria (1895) mostrano tutta la complessità delle relazioni tra la difesa e l'Io al quale essa è attribuita. Infatti, l'Io è la regione della personalità, lo “spazio” che vuole essere protetto da ogni perturbazione (conflitti tra desideri opposti, per esempio). Esso è inoltre un “gruppo di rappresentazioni” in contrasto con una rappresentazione con esso “inconciliabile”, che è segnalata da un affetto spiacevole. Esso è infine l'agente dell'operazione difensiva. Nelle opere di Freud in cui viene elaborato il concetto di psiconevrosi da difesa, l'accento è sempre posto sull'idea di inconciliabilità di una rappresentazione con l'Io; le diverse forme di difesa consistono nei diversi modi di trattare questa rappresentazione, tra cui prevale la separazione di essa dall'affetto che le era originariamente legato. Inoltre Freud, come è noto, oppone molto presto le psiconevrosi da difesa alle nevrosi attuali, gruppo di nevrosi in cui un aumento insopportabile di tensione interna, dovuto a una eccitazione sessuale non scaricata, trova uno sfogo in vari sintomi somatici; è significativo che Freud rifiuti di parlare di difesa nel caso della nevrosi attuale, sebbene sia un modo di proteggere l'organismo e un tentativo di ripristinare un determinato equilibrio. La difesa, nel momento stesso in cui è scoperta, è distinta implicitamente dai provvedimenti presi da un organismo per ridurre un qualsiasi aumento di tensione.

Contemporaneamente ai suoi sforzi per precisare le diverse modalità del processo difensivo a seconda delle affezioni e per meglio ricostituire, negli Studi sull'isteria, lo svolgimento di tale processo in base all'esperienza della cura (ritorno degli affetti spiacevoli che hanno motivato la difesa, scaglionamento delle resistenze, stratificazione del materiale patogeno, ecc.), Freud tenta anche di costruire un modello metapsicologico della difesa. Questa teoria fa già riferimento, come avverrà costantemente in seguito, a una contrapposizione tra le eccitazioni esterne che si possono fuggire o contro cui esiste un dispositivo meccanico di sbarramento che permette di filtrarle e le eccitazioni interne che non si possono fuggire. Contro questa aggressione dal di dentro effettuata dalla pulsione, si costituiscono vari procedimenti difensivi. Il Progetto per una psicologia scientifica (1895) affronta il problema della difesa in due modi:

1) Freud cerca l'origine di ciò che egli chiama “difesa primaria” in una “esperienza del dolore”, come ha trovato il modello del desiderio e della sua inibizione da parte dell'lo in una “esperienza del soddisfacimento”. Tuttavia, nel Progetto, tale concezione non è così chiara come quella dell'esperienza del soddisfacimento.

2) Freud cerca di differenziare da una difesa normale una difesa patologica. La prima opera nel caso della reviviscenza di una esperienza penosa; occorre che l'Io abbia già potuto cominciare, al momento dell'esperienza iniziale, a inibire il dispiacere con “investimenti laterali”: “Se, in seguito, si ripete l'investimento della traccia mnestica, anche la sofferenza si ripete, ma le facilitazioni dell'Io sono già presenti, e l'esperienza mostra che questa seconda scarica di sofferenza è già minore, finché dopo ulteriori ripetizioni, essa si riduce a nulla più di un segnale di una intensità accertabile per l'Io”. Tale difesa evita all'Io il rischio di essere permeato e sommerso dal processo primario, come avviene con la difesa patologica.

E' noto che Freud attribuisce la difesa patologica a una scena sessuale che a suo tempo non aveva suscitato difese, ma il cui ricordo riattivato provoca un eccitamento dall'interno. “L'attenzione è rivolta verso le percezioni che di solito sono occasione di sofferenza. [Ora] qui non è una percezione, ma una traccia mnestica che libera, inaspettatamente, della sofferenza e l'Io ne è informato troppo tardi”. Ciò spiega come mai “ ... un processo dell'Io produca conseguenze che di solito osserviamo soltanto nei processi primari”. La condizione della difesa patologica è quindi l'insorgere di una eccitazione di origine interna, che provoca dispiacere e contro la quale non si è costituito alcun apprendimento difensivo. Non è quindi l'intensità dell'affetto di per sé che motiva l'intervento della difesa patologica, ma condizioni molto specifiche che non si incontrano né nel caso di una percezione penosa né nella rievocazione di una percezione penosa. Queste condizioni si trovano realizzate per Freud soltanto nel campo della sessualità. Quali che siano le diverse modalità del processo difensivo nell'isteria, nella nevrosi ossessiva, nella paranoia, ecc., i due poli del conflitto sono sempre l'Io e la pulsione. E contro una minaccia interna che l'Io cerca di proteggersi.

Tale concezione, pur essendo sempre più convalidata dall'esperienza clinica, pone un problema teorico che Freud ha sempre avuto presente: come è possibile che la scarica pulsionale destinata per definizione a procurare del piacere sia percepita come dispiacere o come minaccia di dispiacere al punto da provocare una difesa? La differenziazione topica dell'apparato psichico permette di affermare che ciò che è piacere per un sistema è dispiacere per un altro (l'Io), ma questa ripartizione dei ruoli esige che si indichino i motivi che possono indurre alcune esigenze pulsionali a essere contrarie all'Io. Una certa soluzione teorica è rifiutata da Freud: quella secondo cui la difesa interverrebbe “... quando la tensione cresce in modo insopportabile perché un moto pulsionale è insoddisfatto”. Una fame non placata infatti non è rimossa; quali che siano i “mezzi di difesa” di cui dispone l'organismo per far fronte a una minaccia di questo tipo, non si tratta della difesa che si incontra nella psicanalisi. L'omeostasi dell'organismo non è la condizione sufficiente che permette di darne una spiegazione. Qual è la molla fondamentale della difesa dell'Io? Perché l'Io percepisce come dispiacere un moto pulsionale? Questa domanda, fondamentale nella psicanalisi, può ricevere varie risposte, che non si escludono necessariamente tra loro.

Una prima distinzione, che si fa in genere, riguarda l'origine prima del pericolo immanente nel soddisfacimento pulsionale: si può considerare la pulsione in sé come pericolosa per l'Io, come aggressione interna, oppure si può attribuire ogni pericolo, in ultima analisi, alla relazione dell'individuo con il mondo esterno e considerare pericolosa la pulsione solo per i danni reali che rischierebbe di provocare il suo soddisfacimento. Per esempio, la tesi sostenuta da Freud in Inibizione, sintomo e angoscia (1926), in particolare la sua reinterpretazione della fobia, porta a privilegiare l'e angoscia di fronte a una situazione reale” (Realangst) e, al limite, a considerare come derivata l'angoscia nevrotica o angoscia dinanzi alla pulsione.

Se si affronta lo stesso problema dal punto di vista della concezione dell'Io, è evidente che le soluzioni varieranno a seconda che si metta l'accento sulla sua funzione di agente della realtà e di rappresentante del principio di realtà, o che si insista sulla sua “coazione alla sintesi”, o che lo si descriva soprattutto come una specie di replica intrasoggettiva dell'organismo, regolato, come quest'ultimo, da un principio di omeostasi. Infine, da un punto di vista dinamico, si può essere tentati di risolvere il problema posto dal dispiacere di origine pulsionale ammettendo l'esistenza di un antagonismo non soltanto tra le pulsioni e l'istanza dell'Io, ma anche tra due tipi di pulsioni orientate in direzioni opposte. Freud ha seguito questa via negli anni 1910-15, opponendo alle pulsioni sessuali le pulsioni di autoconservazione o pulsioni dell'Io. E' noto che questa coppia pulsionale sarà sostituita, nell'ultima teoria di Freud, con l'antagonismo tra pulsioni di vita e pulsioni di morte; ma questa nuova opposizione non coincide più direttamente con il gioco delle forze che si contrappongono nella dinamica del conflitto.

Il termine stesso di difesa, soprattutto quando è usato senza specificazioni, è fonte di molti malintesi e richiede l'introduzione di alcune distinzioni concettuali. Esso designa sia l'azione di difendere (prendere le difese) che quella di difendersi. Sarebbe utile quindi distinguere diversi parametri della difesa, anche se essi più o meno coincidono: la sua posta in gioco: il “luogo psichico” che è minacciato; il suo agente: il supporto dell'azione difensiva; la sua finalità: per esempio, la tendenza a mantenere e a ripristinare l'integrità e la costanza dell'Io e a evitare ogni perturbazione che si esprima soggettivamente sotto forma di dispiacere; i suoi motivi: ciò che annuncia la minaccia e suscita il processo difensivo (affetti ridotti alla funzione di segnali, segnale di angoscia); i suoi meccanismi. Infine, la distinzione tra la difesa, nel senso quasi strategico che ha assunto nella psicanalisi, e il divieto, quale è formulato in particolare nel complesso di Edipo, pur sottolineando la diversità di due livelli, quello della strutturazione dell'apparato psichico e quello della struttura del desiderio e dei fantasmi più fondamentali, lascia aperto il problema della loro articolazione nella teoria e nella pratica della cura.

A (a) La tesi di una “esperienza del dolore” che sarebbe simmetrica all'esperienza del soddisfacimento, appare a prima vista paradossale: perché l'apparato neuronico ripeterebbe fino all'allucinazione un dolore che è definito come un aumento di carica, se la funzione dell'apparato è di evitare qualsiasi aumento di tensione? Ma si potrebbe chiarire questo paradosso esaminando i numerosi passi dell'opera di Freud in cui egli si è interrogato sul problema economico del dolore; ci si accorgerebbe allora, secondo noi, che il dolore fisico come infrazione del limite somatico dovrebbe essere anzi assunto come modello di quella aggressione interna che la pulsione costituisce per l'Io. Anziché come una ripetizione allucinatoria di un dolore effettivamente. vissuto, l'“esperienza del dolore” andrebbe intesa come l'insorgere, al momento della reviviscenza di una esperienza che può non essere stata in se stessa dolorosa, di quel “dolore” che per l'Io è l'angoscia.

MECCANISMI DI DIFESA. = D.: Abwchrmechanismen.

• Diversi tipi di operazioni con cui viene esercitata la difesa. I meccanismi prevalenti sono diversi a seconda del tipo di affezioni, della fase genetica, del grado di elaborazione del conflitto difensivo, ecc. E generalmente ammesso che i meccanismi di difesa sono utilizzati dall'Io; ma rimane aperto il problema teorico di sapere se il loro azionamento presupponga sempre l'esistenza di Io organizzato che ne costituisca il supporto.

• Il termine “meccanismo” è utilizzato da Freud per indicare il fatto che i fenomeni psichici presentano delle strutture suscettibili di un'osservazione e di un'analisi scientifica; ci limitiamo a citare il titolo della Comunicazione preliminare (1893) di Breuer e Freud: Sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici. Nel momento stesso in cui egli esplicita la nozione di difesa e la pone alla base dei fenomeni isterici (vedi: Isteria da difesa), Freud cerca di specificare altre turbe psiconevrotiche in base al modo particolare in cui è esercitata in essi la difesa: “ ...varie turbe nevrotiche provengono dai diversi procedimenti che l'"Io" impiega per liberarsi dalla [sua] incompatibilità [con una rappresentazione]”. Nelle Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa (1896), egli distingue in questo modo i meccanismi della conversione isterica, della sostituzione ossessiva e della proiezione paranoica. Il termine “meccanismo sarà presente sporadicamente lungo tutta l'opera di Freud. Quello di “meccanismo di difesa” figura per esempio negli scritti metapsicologici del 1915, e ciò in due accezioni un po' diverse: o per designare l'insieme del processo difensivo caratteristico di una nevrosi, o per indicare l'utilizzazione difensiva di questo o quel “destino pulsionale”: rimozione, riflessione su se stesso, conversione nell'opposto. In Inibizione, sintomo e angoscia (1926) Freud giustifica ciò che egli chiama il “ripristino del vecchio concetto di difesa” appellandosi alla necessità di possedere una nozione comprensiva che includa accanto alla rimozione altri “metodi di difesa”, sottolineando la possibilità di stabilire “ un intimo legame tra forme particolari di difesa e determinate affezioni”, e formulando infine l'ipotesi che “...l'apparato psichico, prima della separazione netta tra Io e Es, prima della formazione di un Super-io utilizzi metodi di difesa diversi da quelli che usa una volta raggiunti questi stadi di organizzazione”.

Anche se Freud sembra qui sottovalutare il fatto che simili idee sono state costantemente presenti nella sua opera, è certo che dopo il 1926 lo studio dei meccanismi di difesa è diventato un tema importante della ricerca psicanalitica, specie con l'opera di Anna Freud dedicata a tale argomento. Questa autrice cerca di descrivere, in base a esempi concreti, la varietà, la complessità, l'estensione dei meccanismi di difesa, mostrando in particolare come l'intento difensivo possa utilizzare le attività più diverse (fantasma, attività intellettuale), come la difesa possa riguardare non solo rivendicazioni pulsionali, ma tutto ciò che può suscitare uno sviluppo di angoscia: emozioni, situazioni, esigenze del Super-io, ecc. Va notato che Anna Freud non intende dare un'esposizione esaustiva e sistematica, specie quando enumera en passant i meccanismi di difesa: rimozione, regressione, formazione reattiva, isolamento, annullamento retroattivo, proiezione, introiezione, riflessione sulla propria persona, conversione nell'opposto, sublimazione. Si sono potuti descrivere molti altri procedimenti difensivi. La stessa Anna Freud ricorda inoltre in questo contesto la negazione mediante il fantasma, l'idealizzazione, l'identificazione con l'aggressore, ecc. Melanie Klein descrive ciò che essa considera come difese molto primarie: scissione dell'oggetto, identificazione proiettiva, diniego della realtà psichica, controllo onnipotente dell'oggetto, ecc.

Un uso generalizzato della nozione di meccanismo di difesa non manca di porre una serie di problemi riferendo a una funzione unica operazioni così diverse come, per esempio, la razionalizzazione, che fa intervenire meccanismi intellettuali complessi, e la riflessione sulla propria persona, che è un “destino” della meta pulsionale, designando con lo stesso termine di difesa operazioni effettivamente coatte come l'annullamento retroattivo e la ricerca di una via di “disimpegno” che corrisponde a certe sublimazioni (vedi: Meccanismi di disimpegno), si rischia di svuotare il concetto del suo contenuto operativo. Numerosi autori, pur parlando di “meccanismi di difesa dell'Io”, non trascurano di riconoscere delle differenze: “Accanto a tecniche come l'isolamento, l’annullamento retroattivo, troviamo veri processi istintuali come la regressione, la conversione nell’opposto, la riflessione su se stesso”. Diventa allora difficile mostrare come uno stesso processo possa funzionare a vari livelli: l'introiezione, per esempio, che è anzitutto un modo di reazione della pulsione al suo oggetto e che trova il suo prototipo nell'incorporazione, può trovarsi utilizzata secondariamente come difesa dell'Io (difesa maniaca in particolare).

Non si dovrebbe trascurare un'altra distinzione teorica fondamentale: quella che specifica la rimozione rispetto a tutti gli altri procedimenti difensivi, specificità che Freud non ha mancato di ricordare, anche dopo aver affermato che la rimozione è un caso particolare della difesa. L'importante non è tanto il fatto che essa, come nota Anna Freud, è definita essenzialmente come un controinvestimento permanente ed è a un tempo “il più efficace e il più pericoloso” dei meccanismi di difesa, quanto il fatto che essa è costitutiva dell'inconscio in quanto tale (vedi: Rimozione).

Infine, concentrando la teoria sulla nozione di difesa dell'Io si è indotti facilmente a opporre a tale difesa la rivendicazione pulsionale pura che sarebbe, per principio, totalmente estranea a qualsiasi dialettica: “Se le esigenze dell'Io o quelle delle forze esterne rappresentate dall'Io non esercitassero una pressione, la pulsione non potrebbe avere che un solo destino: quello del soddisfacimento”. Si arriverebbe così a fare della pulsione un termine del tutto positivo che non sarebbe contrassegnato da alcun divieto. Ma i meccanismi dello stesso processo primario (spostamento, condensazione, ecc.), con ciò che essi implicano di strutturazione del gioco pulsionale, non sono in contraddizione con tale concezione?

RIMOZIONE. = D.: Verdrangung.

• A) Nel senso proprio: operazione con cui il soggetto cerca di respingere o di mantenere nell'inconscio rappresentazioni (pensieri, immagini, ricordi) legati a una pulsione. La rimozione si attua nei casi in cui il soddisfacimento di una pulsione - atta di per sé a procurare piacere - rischierebbe di provocare del dispiacere rispetto ad altre esigenze. La rimozione è particolarmente manifesta nell'isteria, ma svolge un ruolo importante anche nelle altre affezioni mentali, come pure nella psicologia normale. Essa può essere considerata come un processo psichico universale in quanto sarebbe all'origine della costituzione dell'inconscio come campo separato dal resto dello psichismo. B) In un senso più vago: il termine di rimozione è talora assunto da Freud in una accezione che lo avvicina a quello di “difesa”, da un lato in quanto l'operazione della rimozione intesa nel senso A si incontra almeno come una fase in numerosi processi difensivi complessi (la parte è allora presa per il tutto), d'altro lato in quanto il modello teorico della rimozione è utilizzato da Freud come prototipo di altre operazioni difensive.

• La distinzione tra i sensi A e B è necessaria se si tiene conto delle affermazioni formulate da Freud nel 1926 in merito alla propria utilizzazione dei termini rimozione e difesa: “Adesso sono del parere che ritornare al vecchio concetto di difesa presenti un sicuro vantaggio, se si stabilisce bene a questo riguardo che esso dev'essere la designazione generale per tutte le tecniche di cui l'Io si serve nei suoi conflitti, che possono eventualmente condurre alla nevrosi; mentre conserviamo il termine di rimozione per uno speciale di questi metodi di difesa, che l'orientamento delle nostre ricerche ci ha permesso agli inizi di conoscere meglio degli altri”. In realtà l'evoluzione delle concezioni di Freud sui problema del rapporto tra rimozione e difesa non corrisponde esattamente a ciò che egli dice nel testo citato.

A proposito di tale evoluzione, si possono fare le seguenti osservazioni:

1) Nei testi anteriori a L'interpretazione dei sogni (1900) si trovano usati con pari frequenza i termini di rimozione e di difesa. Ma solo in rari casi essi sono utilizzati da Freud come se fossero puramente e semplicemente equivalenti, e sarebbe erroneo considerare, sulla base della testimonianza successiva di Freud, che il solo modo di difesa allora noto fosse la rimozione, modo di difesa specifico dell'isteria, come se il genere coincidesse con la specie. Infatti, Freud specifica in questa epoca le diverse psiconevrosi in base a modi di difesa nettamente diversi tra cui egli non fa rientrare la rimozione; per esempio, nei testi su Le neuropsicosi da difesa (1894-1896), il meccanismo di difesa dell'isteria è la conversione, quello della nevrosi ossessiva la trasposizione o lo spostamento dell'affetto, mentre, nella psicosi, Freud considera meccanismi quali la reiezione (verwerfen) della rappresentazione e dell'affetto o la proiezione. Inoltre, il termine di rimozione è usato per designare la sorte delle rappresentazioni tagliate fuori dalla coscienza, che costituiscono il nucleo di un gruppo psichico separato, processo che si ritrova sia nella nevrosi ossessiva che nell'isteria. Anche se i due concetti di difesa e di rimozione trascendono il quadro di una affezione psicopatologica particolare, è chiaro che esse non sono orientate nello stesso senso: difesa è senz'altro un concetto generico, indicante una tendenza generale “..legata alle condizioni più fondamentali del meccanismo psichico (legge di costanza)”, che può assumere forme sia normali che patologiche e che, in queste ultime, si specifica in “meccanismi” complessi in cui l'affetto e la rappresentazione hanno destini diversi. Se la rimozione è anch'essa presente universalmente nelle varie affezioni e non specifica, come meccanismo di difesa particolare, l'isteria, ciò è dovuto al fatto che le diverse psiconevrosi implicano tutte un inconscio (vedi) separato che è istituito appunto dalla rimozione.

2) Dopo il 1900, il termine di difesa” tende a essere utilizzato meno frequentemente da Freud, ma è lungi dallo scomparire come egli stesso ha sostenuto (“Rimozione, come ho cominciato a chiamarlo invece di difesa”) e conserva lo stesso significato generico. Freud parla di “meccanismi di difesa”, di “lotta di difesa”, ecc. Quanto al termine di rimozione, esso non perde mai la sua specificità per confondersi in modo puro e semplice con un concetto generale che designi l'insieme delle tecniche difensive utilizzate per affrontare il conflitto psichico. Va notato, per esempio, che Freud, quando tratta delle “difese secondarie” (difese contro il sintomo stesso) non le chiama mai “ rimozioni” secondarie. Fondamentalmente, nel testo del 1915 a essa dedicato, la nozione di rimozione conserva l'accezione definita più sopra: “La sua essenza consiste soltanto nel fatto di allontanare e di mantenere a distanza dal cosciente”. In questo senso la rimozione è talora considerata da Freud come “un meccanismo di difesa” particolare o piuttosto come un” destino della pulsione” suscettibile di essere utilizzato come difesa. Essa svolge un ruolo prevalente nell'isteria, mentre nella nevrosi ossessiva è inserita in un processo difensivo più complesso.

Non si deve quindi trarre argomento, come fanno gli editori della Standard Edition, dal fatto che la rimozione è descritta in varie nevrosi per inferirne che “rimozione equivale ormai a “difesa”: essa è ritrovata in ogni affezione come una delle fasi dell'operazione difensiva, e ciò nella sua accezione ben precisa di rimozione nell'inconscio. Rimane che il meccanismo della rimozione studiato da Freud nelle sue varie fasi costituisce per lui una specie di prototipo per altre operazioni difensive; per esempio nel Caso Schreber, mentre cerca di esplicitare un meccanismo di difesa specifico della psicosi, fa riferimento alle tre fasi della rimozione, di cui egli formula nella stessa occasione la teoria. Probabilmente è in questo testo che si è più vicini alla confusione tra rimozione e difesa, confusione che non è allora soltanto terminologica, ma conduce a difficoltà di fondo (vedi: Proiezione).

3) Va notato infine che dopo aver sussunto la rimozione sotto la categoria dei meccanismi di difesa, Freud, commentando il libro di Anna Freud, scrive: “Non ho mai dubitato che la rimozione non fosse l'unico procedimento di cui dispone l'Io per le sue intenzioni. Tuttavia la rimozione è qualcosa di molto particolare che è più nettamente distinto dagli altri meccanismi di quanto questi non lo siano tra loro”. “La teoria della rimozione è la pietra angolare su cui poggia tutto l'edificio della psicanalisi”. Il termine di rimozione si trova già in Herbart, e alcuni autori hanno supposto che Freud conoscesse, per il tramite di Meynert, la psicologia di Herbart. Ma la rimozione si è imposta come fatto clinico già nei primi trattamenti degli isterici, in cui Freud costata che i pazienti non hanno a loro disposizione certi ricordi che pure hanno ancora tutta la loro vivacità quando sono ritrovati: “Si trattava di cose che il malato voleva dimenticare e che egli intenzionalmente manteneva, respingeva, rimoveva fuori dal suo pensiero cosciente”. Come si vede, la nozione di rimozione, colta qui alla sua origine, appare subito come correlativa a quella di inconscio (il termine di “rimosso” sarà a lungo per Freud, fino alla formulazione dell'idea di difese inconsce dell'Io, sinonimo di inconscio). Quanto al termine “intenzionalmente”, Freud già in quest'epoca (1895) non l'impiega senza riserve: la scissione della coscienza è solo introdotta da un atto intenzionale. I contenuti rimossi infatti sfuggono alla presa del soggetto e sono regolati, come “gruppo psichico separato s, da leggi proprie (processo primario). Una rappresentazione rimossa costituisce essa stessa un primo “ nucleo di cristallizzazione” capace di attrarre altre rappresentazioni insopportabili senza che debba intervenire un'intenzione conscia ). Da questo punto di vista, l'operazione della rimozione è anch'essa caratterizzata dal processo primario, che la specifica anche come difesa patologica rispetto a una difesa normale, dei tipo dell'evitamento per esempio. Infine, la rimozione è senz'altro descritta come un'operazione dinamica, che implica il mantenimento di un controinvestimento e può sempre essere bloccata dalla forza del desiderio inconscio che cerca di- ritornare nella coscienza e nella motilità (vedi: Ritorno del rimosso; Formazione di compromesso).

Negli anni 1911-15, Freud ha cercato di formulare una teoria articolata del processo della rimozione distinguendovi diverse fasi. Va notato a questo proposito che non si tratta in realtà della sua prima elaborazione teorica. Secondo noi, infatti, la sua teoria della seduzione va considerata come un primo tentativo sistematico per spiegare la rimozione, tentativo tanto più interessante in quanto non isola la descrizione del meccanismo dall'oggetto elettivo su cui esso opera, cioè la sessualità. Nel suo articolo La rimozione (Die Verdràngung, 1915), Freud distingue una rimozione in senso lato (comprendente tre fasi) e una rimozione in senso stretto che non è altro che la seconda fase del precedente. La prima fase sarebbe una “rimozione originaria”; essa non riguarda la pulsione in quanto tale, ma i suoi segni, i suoi “rappresentanti”, che non accedono alla coscienza e ai quali la pulsione rimane fissata. Viene così creato un primo nucleo inconscio funzionante come polo di attrazione nei confronti degli elementi da rimuovere. La rimozione propriamente detta (eigentliche Verdrangung) o “rimozione posteriore” (Nachdrangen) è quindi un processo duplice, che unisce a questa attrazione una repulsione (Abstossung) da parte di una istanza superiore. La terza fase infine è costituita dal “ritorno del rimosso” sotto forma di sintomi, sogni, atti mancati, ecc.

Su cosa agisce la rimozione? Occorre sottolineare che non è né sulla pulsione, che, in quanto è organica, sfugge all'alternativa conscio-inconscio, né sull'affetto. Quest'ultimo può subire diverse trasformazioni corrispondentemente alla rimozione, ma non può diventare inconscio stricto sensu. Solo i “ rappresentanti ideativi” (idea, immagine, ecc.) della pulsione sono rimossi. Questi elementi ideativi sono legati al rimosso primario, sia che provengano da esso, sia che entrino con lui in connessione fortuita. La rimozione riserva a ciascuno di essi una sorte distinta “ del tutto individuale”, secondo il suo grado di deformazione, la sua distanza dal nucleo inconscio e il suo valore affettivo. L'operazione della rimozione può essere considerata in riferimento ai tre punti di vista della metapsicologia:

a) Dal punto di vista topico: sebbene la rimozione sia descritta nella prima teoria dell'apparato psichico come mantenimento fuori della coscienza, non per questo Freud assimila l'istanza rimovente alla coscienza. E la censura che ne fornisce il modello. Nella seconda topica, la rimozione è considerata un'operazione difensiva dell'Io (parzialmente inconscio).

b) Dal punto di vista economico, la rimozione suppone un gioco complesso di disinvestimenti, reinvestimenti e controinvestimenti riguardanti i rappresentanti della pulsione.

c) Dal punto di vista dinamico, il problema principale è quello dei motivi della rimozione: come avviene che una pulsione il cui soddisfacimento genera per definizione piacere possa suscitare un dispiacere tale da provocare l'operazione della rimozione? (su questo punto, vedi: Difesa).

ANNULLAMENTO RETROATTIVO. = D. : Ungeschehenmachen.

• Meccanismo psicologico con cui il soggetto si sforza di fare in modo che pensieri, parole, gesti, atti passati non siano avvenuti; egli utilizza a tale scopo un pensiero o un comportamento che ha un significato opposto. Si tratta di una coazione di andamento “magico”, particolarmente caratteristica della nevrosi ossessiva.

• L'annullamento è descritto brevemente da Freud in L'uomo dei topi, ove analizza delle “... azioni coatte a due tempi, in cui il primo è annullato dal secondo [...]. Il loro vero significato risiede nel fatto che essi rappresentano il conflitto tra due affetti antagonisti e d'intensità pressoché uguale, e precisamente - come l'esperienza mi ha sempre confermato - tra amore e odio”. In Inibizione, sintomo e angoscia (1926), questo processo è messo in luce da Freud eon il termine di Ungeschehenmachen (letteralmente: rendere non accaduto); insieme all'isolamento, esso è considerato come una forma di difesa caratteristica della nevrosi ossessiva ed è qualificato di procedimento magico; egli mostra come tale forma di difesa operi in particolare nei rituali ossessivi. Anna Freud cita l'annullamento retroattivo nel suo inventano dei meccanismi di difesa dell'Io; ed è in generale come meccanismo di difesa dell'Io che esso è definito nella letteratura psicanalitica.

Notiamo che l'annullamento retroattivo si presenta sotto modalità abbastanza diverse. Talora un comportamento è annullato con il comportamento direttamente opposto (per esempio, <(l'uomo dei topi” rimette su una strada una pietra che egli aveva tolto n un primo tempo, affinché la vettura della sua amica non rischiasse di urtarvi); talora è lo stesso atto che viene ripetuto ma con significati consci o inconsci opposti; talora l'atto di annullamento è contaminato dall'atto che esso tende a cancellare. Si veda l'esempio dato da Fenichel, che illustra queste due ultime modalità: un soggetto si rimprovera di aver sprecato del denaro comprando un giornale; vorrebbe annullare tale spesa facendosi rimborsare, ma, non osando farlo, pensa di potersi consolare comprando un altro giornale. Ma il chiosco è chiuso; il soggetto allora getta in terra una moneta dello stesso valore del giornale. Per indicare simili sequenze, Freud parla di sintomi “difasici”: “Dopo un'azione che esegue una data ingiunzione, ne segue un'altra che sospende o annulla la prima, quando addirittura non arriva fino a compiere il suo opposto”.

L'inclusione dell'annullamento retroattivo tra i meccanismi di difesa dell'Io richiede inoltre la seguente osservazione: bisogna considerare il “secondo tempo” come semplice prodotto della difesa? La varietà degli esempi cliniici suggerisce una risposta sfumata. Si nota infatti che per lo più le motivazioni pulsionali operano in ambo le fasi, specie sotto la forma dell'ambivalenza amore-odio; talora anzi è il secondo tempo che pone meglio in evidenza la vittoria della pulsione. In un esempio come quello di Fenichel, è la condotta nel suo insieme che forma un tutto sintomatico. Va notato inoltre, in questa prospettiva, che Freud, in un'epoca in cui non era ancora stato posto l'accento sui meccanismi di difesa dell'Io, non fa intervenire l'azione difensiva se non come razionalizzazione che camuffa successivamente l'azione complessiva.

Infine si potrebbero enucleare due concezioni, che d'altronde si oppongono solo come due livelli di interpretazione o due livelli del conflitto psichico: una che pone l'accento sul conflitto interpulsionale in cui si ritrova in ultima analisi l'ambivalenza dell'amore e dell'odio, l'altra che situa il conflitto tra le pulsioni e l'Io, in cui quest'ultimo può trovare un alleato in una pulsione opposta a quella da cui si protegge.

Ci si può chiedere se il meccanismo di annullamento retroattivo non vada ricollegato a un comportamento normale molto diffuso: si ritratta una affermazione, si ripara un danno, si riabilita un condannato, si attenua la portata di un pensiero, di una parola o di un atto con una negazione che può persino essere anticipata (esempio: “non creda che... e) ecc. Notiamo tuttavia che in tutti questi casi si tratta di attenuare o annullare il significato, il valore o le conseguenze, mentre l'annullamento retroattivo - nel senso patologico - riguarda la realtà stessa dell'atto che si vorrebbe sopprimere radicalmente agendo come se il tempo non fosse irreversibile. Certo tale distinzione può sembrare troppo schematica: è in fondo ricorrendo a significati opposti che il soggetto tenta di annullare l'atto stesso. Ma l'osservazione clinica mostra che l'ossessivo non si accontenta di un lavoro di disinvestimento o di controinvestimento. Ciò a cui tende è proprio l'impossibile annullamento dell'evento (Gesclielzen) passato in quanto tale.

CONVERSIONE. = D.: Konversion.

• Meccanismo di formazione di sintomi che è in azione nell'isteria e più specificamente nell'isteria di conversione. Esso consiste in una trasposizione di un conflitto psichico e in un tentativo di risolverlo in sintomi somatici, motori (paralisi, per esempio) o sensori (anestesie o dolori localizzati, per esempio). Il termine di conversione corrisponde per Freud a una concezione economica: la libido distaccata dalla rappresentazione rimossa è trasformata in energia d'innervazione. Ma ciò che specifica i sintomi di conversione è il loro significato simbolico: essi esprimono, mediante il corpo, rappresentazioni rimosse.

• Il termine di conversione è stato introdotto da Freud in psicopatologia per spiegare quel “salto dallo psichico nell'innervazione somatica” che lui stesso considerava difficile da concepire. Questa idea, che costituiva una novità alla fine del XIX secolo, è stata molto generalizzata, specie con lo sviluppo delle ricerche psicosomatiche. E’ quindi necessario delimitare, in quest'ambito così ampliato, ciò che caratterizza la conversione; questa preoccupazione d'altronde era già presente in Freud, specie nella distinzione tra sintomi isterici e sintomi somatici delle nevrosi attuali. Il termine di conversione è contemporaneo alle prime ricerche di Freud sull'isteria: lo si comincia a incontrare già nel caso di Frau Emmy von N... degli Studi sull'isteria (1895) e nelle Neuropsicosi da difesa (1894). Il suo primo senso è economico: è un'energia libidica che si trasforma, si converte, in innervazione somatica.

La conversione è correlativa al distacco della libido dalla rappresentazione nel processo della rimozione; l'energia libidica distaccata è allora “...trasposta nel somatico”. Questa interpretazione economica della conversione è in Freud inseparabile da una concezione simbolica: nei sintomi corporei, “parlano” rappresentazioni rimosse, deformate dai meccanismi della condensazione e dello spostamento. Freud nota che il rapporto simbolico che lega il sintomo al significato è tale che uno stesso sintomo esprime più significati non solo contemporaneamente, ma anche successivamente: “Col passare degli anni, il sintomo può modificare uno dei suoi significati, o il suo significato principale [...]. La costituzione del sintomo è così difficile, la traduzione fisica dell'impulso puramente psichico (da me denominata conversione) dipende da tante condizioni favorevoli, la compiacenza somatica necessaria alla conversione si produce così faticosamente che la spinta a scaricare l'impulso dell'inconscio induce a contentarsi, per quanto è possibile, di una via di scarico già praticabile”.

Per quanto riguarda i motivi che fanno sì che si formino determinati sintomi di conversione anziché altri - fobici o ossessivi per esempio - Freud invoca dapprima una “capacità di conversione”, idea che egli riprenderà con l'espressione di “compiacenza somatica”, cioè un fattore costituzionale o acquisito che predisporrebbe alla conversione un soggetto oppure, più specificamente, un organo o un apparato. Questo problema si riallaccia quindi a quello della “scelta della nevrosi” e a quello della specificità delle strutture nevrotiche. Come collocare la conversione, dai punto di vista nosografico?

1) Nel campo dell'isteria: essa è apparsa dapprima a Freud come un meccanismo che, in gradi diversi, sarebbe sempre in azione nell'isteria. In seguito, l'approfondimento della struttura isterica ha indotto Freud a ricollegare a essa una forma di nevrosi che non presenta sintomi di conversione, essenzialmente una sindrome fobica che egli isola come isteria di angoscia; ciò permette di delimitare una isteria di conversione all'interno dell'isteria. Questa tendenza a non considerare più come coestensive isteria e conversione è tuttora presente quando si parla di isteria e di struttura isterica senza che vi siano sintomi di conversione.

2) Nel campo più generale delle nevrosi: anche in nevrosi diverse dall'isteria si presentano sintomi somatici che hanno una relazione simbolica con i fantasmi inconsci del soggetto (per esempio, i disturbi intestinali in L'uomo dei lupi). Bisogna allora concepire la conversione come un meccanismo così fondamentale nella formazione dei sintomi da poter essere presente, a diversi gradi, in varie categorie di nevrosi, oppure conviene continuare a considerarla come una caratteristica dell'isteria e parlare, quando la si incontra in altre affezioni, di un “nucleo isterico” oppure di “nevrosi mista”? Non si tratta di un problema meramente verbale giacché esso porta a differenziare le nevrosi dal punto di vista delle strutture e non soltanto dei sintomi.

3) Nel campo oggi chiamato psicosomatico: senza pretendere di risolvere una discussione tuttora aperta, sembra che si tenda oggi a distinguere la conversione isterica da altri processi di formazione di sintomi, per i quali si propone per esempio il termine di “somatizzazione”: il sintomo di conversione isterica starebbe in una relazione simbolica più precisa con la storia del soggetto e sarebbe meno isolabile in una entità nosografica somatica (per esempio, ulcera allo stomaco, ipertensione), meno stabile, ecc. Sebbene la distinzione clinica sia chiara in molti casi, la distinzione teorica rimane difficile da formulare.

CONVERSIONE NELL'OPPOSTO. D.: Verkehrung ins Gegenteil.

• Processo con cui la meta della pulsione si trasforma nel suo opposto, passando dall'attività alla passività.

• In Pulsioni e loro destino (1915) Freud, considerando i “destini pulsionali”, include tra essi, accanto alla rimozione e alla sublimazione, la conversione nell'opposto e la riflessione sulla propria persona. Egli non tarda a rilevare che questi due processi - il primo concernente la meta, il secondo l'oggetto - sono in realtà così strettamente legati l'uno all'altro, come appare nei due esempi principali, quello del sadismo-masochismo e quello del voyeurismo-esibizionismo, che è impossibile descriverli separatamente. Il ripiegamento del sadismo nel masochismo implica a un tempo il passaggio dall'attività alla passività e un'inversione dei ruoli tra colui che infligge e colui che subisce le sofferenze. Questo processo può arrestarsi a uno stadio intermedio in cui vi è riflessione sulla propria persona (cambiamento d'oggetto), ma la meta non è divenuta passiva bensì solo riflessiva (far soffrire se stesso). Nella sua forma compiuta, in cui il passaggio alla passività è realizzato, il masochismo implica “...che venga nuovamente cercata, quale oggetto, una persona estranea, la quale deve assumere, in seguito alla trasformazione determinatasi nella meta, la funzione del soggetto”. Tale trasformazione rimane incomprensibile se non si fa intervenire la struttura fantasmatica, in cui un altro diventa fantasmaticamente il soggetto al quale viene attribuita l'attività pulsionale. I due processi possono funzionare evidentemente nel senso opposto: trasformazione dalla passività in attività, riflessione a partire dalla persona propria su altri: “...che la pulsione si rifletta dall'oggetto verso l'Io o dall'Io verso l'oggetto [...], ciò non pone una differenza di principio”).

Ci si può chiedere se il ritorno della libido, a partire da un oggetto esterno, sull'Io (libido dell'Io o narcisistica), non possa essere denominato anche “riflessione sulla propria persona”. Va notato che Freud ha preferito in questo caso usare espressioni come quella di “ritiro della libido sul o nell'Io ”. Accanto alla conversione dell'attività in passività che riguarda il modo, la “ forma” dell'attività, Freud considera una conversione “del contenuto” o conversione “materiale”: quello dell'amore in odio. Ma gli sembra valido parlare qui di riflessione solo su un piano puramente descrittivo; infatti, l'amore e l'odio non possono essere intesi come i destini di una stessa pulsione. Sia nella prima che nella seconda teoria delle pulsioni, Freud attribuisce loro un'origine diversa. Anna Freud ha incluso tra i meccanismi di difesa la conversione nell'opposto e la riflessione sulla propria persona, chiedendosi se non bisognasse vedere in essi i processi difensivi più primitivi. Alcuni passi di Freud sembrano favorevoli a questa tesi.

DINIEGO (- DELLA REALTÀ). D.: Verleugnung.

• Termine usato da Freud in un senso specifico: modo di difesa che consiste in un rifiuto da parte del soggetto di riconoscere la realtà di una percezione traumatizzante, essenzialmente quella della mancanza del pene nella donna. Questo meccanismo è invocato da Freud specialmente per spiegare il feticismo e le psicosi.

• Freud ha cominciato a usare il termine di Verleugnung in un senso relativamente specifico a partire dal 1924. Tra il 1924 e 1938, i riferimenti al processo così designato sono abbastanza numerosi; l'esposizione più completa si trova nel Compendio di psicanalisi (1938). Non si può dire che egli lo abbia inquadrato in una teoria o che lo abbia differenziato rigorosamente dai processi affini; si può tuttavia individuare in tale evoluzione una linea direttrice.

E’ in relazione con la castrazione che Freud comincia a descrivere la Verleugnung. Davanti all'assenza del pene nella bambina, i bambini “... ricusano (leugnen) questa mancanza, credono di vedere nonostante tutto un membro...”. Solo gradualmente considereranno l'assenza del pene come il risultato della castrazione. In Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica fra i sessi (1925), il diniego è descritto sia per la bambina che per il maschietto; va notato che Freud collega questo processo con il meccanismo psicotico: “...interviene un processo che vorrei designare col termine di "diniego" (Verleugnung), processo che non sembra essere né raro né molto pericoloso nella vita psichica del bambino, ma che nell'adulto sarebbe il punto di partenza di una psicosi”. In quanto il diniego riguarda la realtà esterna, Freud lo considera, in opposizione alla rimozione, la prima fase della psicosi. Mentre il nevrotico comincia col rimuovere le esigenze dell'Es, lo psicotico comincia col ricusare la realtà.

A partire dal 1927 Freud elabora la nozione di diniego essenzialmente in base all'esempio privilegiato del feticismo. Nello studio da lui dedicato a questa perversione (Il Feticismo 1927) egli mostra come il feticismo perpetui un atteggiamento infantile facendo coesistere due posizioni inconciliabili: il diniego e il riconoscimento della castrazione femminile. L'interpretazione che ne dà Freud è ancora ambigua; egli tenta infatti di spiegare questa coesistenza invocando i processi della rimozione e della formazione di un compromesso tra le due forze in conflitto; ma mostra anche come questa coesistenza costituisca una vera scissione in due (Spaltung, Zwiespältigkeit) del soggetto. Nei testi successivi (La scissione dell'Io nel processo di difesa 1938; Compendio di psicanalisi, 1938), questa nozione di scissione dell'Io chiarisce più nettamente quella di diniego. I due atteggiamenti del feticista - ricusare la percezione della mancanza del pene nella donna, riconoscere questa mancanza e trarne le conseguenze (angoscia) - “...permangono l'uno accanto all'altro durante tutta la vita, senza influenzarsi reciprocamente. E ciò che si può chiamare una scissione dell'Io ”. Questa scissione va distinta dalla divisione provocata nella persona dalla rimozione nevrotica: 1) Si tratta della coesistenza di due tipi diversi di difesa dell'lo, e non di un conflitto tra l'Io e l'Es. 2) Una delle difese dell'Io riguarda la realtà esterna: diniego di una percezione. Si può vedere in questa graduale precisazione del processo di diniego da parte di Freud un segno, tra gli altri, del suo costante desiderio di descrivere un meccanismo originario di difesa nei confronti della realtà esterna.

Questo desiderio è provato in particolare dalla sua prima concezione della proiezione, nella sua nozione di disinvestimento o di perdita della realtà nella psicosi, ecc. La nozione di diniego si inserisce in questa linea di ricerca. Essa è preannunciata in alcuni passi in L'uomo dei lupi: “Il risultato fu che, alla fine, coesistevano in lui due correnti contrarie, per cui da un lato aveva in orrore la castrazione, e dall'altro era pronto ad accettarla e a consolarsene con la femminilità a titolo di surrogato. Restava sempre, poi, la terza corrente, la più antica e profonda, quella che era consistita nel rigettare puramente e semplicemente la castrazione, senza che fosse neppure questione di dare un giudizio circa la sua realtà; e questa corrente, senza dubbio, era ancora capace di entrare in attività”. In queste righe emergono già sia l'idea di scissione della personalità in varie “correnti” indipendenti che quella di una difesa primaria consistente in un rigetto radicale e quella infine che tale meccanismo riguardi anzitutto la realtà della castrazione. Quest'ultimo punto è probabilmente quello che consente non solo di comprender meglio la nozione freudiana di diniego, ma anche di svilupparne e rinnovarne la problematica.

Se il diniego della castrazione è il prototipo, e forse anche l'origine, degli altri dinieghi della realtà, ci si può chiedere che cosa Freud intenda per “realtà” della castrazione o percezione di essa. Se è la “mancanza del pene” nella donna che è ricusata, è difficile parlare di percezione o di realtà, giacché una mancanza non è percepita come tale, ma diventa realtà solo se messa in relazione con una presenza possibile. Se è la castrazione stessa che è ricusata, il diniego riguarderebbe non una percezione (non essendo mai percepita la castrazione come tale), bensì una teoria esplicativa dei fatti (una teoria sessuale infantile). Ci si ricorderà, a questo proposito, che Freud ha sempre attribuito il complesso o l'angoscia di castrazione, non alla percezione di una pura e semplice realtà, bensì alla congiunzione di due dati: constatazione della differenza anatomica dei sessi e minaccia di castrazione da parte del padre. Queste osservazioni consentono di chiedersi se fondamentalmente il diniego, che ha conseguenze così evidenti nella realtà, non riguardi un elemento fondatore della realtà umana anziché un ipotetico “fatto percettivo”.

FORMAZIONE REATTIVA. = D.: Reaktionsbildung.

• Atteggiamento o habitus psicologico di senso contrario a un desiderio rimosso e costituito in reazione contro di esso (per esempio, pudore che si oppone a tendenze esibizionistiche). In termini economici, la formazione reattiva un controinvestimento di un elemento cosciente, di forza eguale e di direzione contraria all'investimento inconscio. Le formazioni reattive possono essere molto localizzate e manifestarsi con un comportamento particolare oppure generalizzate fino a costituire tratti del carattere più o meno integrati nel complesso della personalità. Dal punto di vista clinico, le formazioni reattive assumono valore sintomatico per i loro aspetti di rigidità e di coazione, per i, loro scacchi accidentali, per il fatto che esse provocano talora direttamente un risultato opposto a quello coscientemente voluto (summum jus summa injuria).

• Già nelle prime descrizioni che egli dà della nevrosi ossessiva, Freud mette in evidenza un particolare meccanismo psichico che consiste nel lottare direttamente contro la rappresentazione penosa sostituendola con un “sintomo primario di difesa” o “controsintomo” consistente in tratti di personalità - scrupolosità, pudore, sfiducia in se stesso - che sono in contraddizione con l'attività sessuale infantile a cui si era dapprima abbandonato il soggetto durante un primo periodo detto “d'immoralità infantile”. Si tratta di una “difesa riuscita”, in quanto gli elementi in gioco nel conflitto, sia la rappresentazione sessuale che il “rimprovero” da essa suscitato, sono entrambi esclusi dalla coscienza a vantaggio di virtù morali spinte all'estremo. In seguito la psicanalisi non farà che confermare, nel quadro clinico della nevrosi ossessiva, l'importanza di tali difese la cui denominazione di “reattive” sottolinea il fatto che esse sono direttamente in opposizione alla realizzazione del desiderio sia per il loro significato sia dal punto di vista economico-dinamico.

Nella nevrosi ossessiva, le formazioni reattive assumono la forma di tratti del carattere, di modificazioni dell'Io, che costituiscono dispositivi di difesa in cui scompare l'individualità delle rappresentazioni e dei fantasmi implicati: per esempio, un soggetto mostrerà, in generale, della pietà verso gli esseri viventi, mentre la sua aggressività inconscia è rivolta verso certe persone. La formazione reattiva costituisce un controinvestimento permanente. “ Il soggetto che ha elaborato delle formazioni reattive non sviluppa determinati meccanismi di difesa da impiegare quando sorge la minaccia di un pericolo pulsionale; egli ha cambiato la struttura della sua personalità come se quel pericolo fosse sempre presente, per essere pronto in qualsiasi momento in cui sorga tale pericolo”. Le formazioni reattive sono particolarmente manifeste nel carattere anale.

Il meccanismo della formazione reattiva non è specifico della struttura ossessiva, ma è reperibile anche, tra l'altro, nell'isteria; “...occorre però sottolineare che, a differenza di quanto accade nella nevrosi ossessiva, queste formazioni reattive non presentano [allora] la generalità di tratti del carattere, ma si limitano a relazioni particolarissime. Per esempio, la donna isterica che tratta i figli, che in fondo odia, con una tenerezza eccessiva, non diventa per questo generalmente più amorevole di altre donne né più tenera verso gli altri bambini”.

Il termine stesso di formazione reattiva invita a un accostamento con altri modi di formazione di sintomo: formazione sostitutiva e formazione di compromesso. Teoricamente, è facile stabilire la distinzione: mentre nella formazione di compromesso si può sempre rinvenire il soddisfacimento del desiderio rimosso unito all'azione della difesa (in una ossessione, per esempio), nella formazione reattiva apparirà soltanto, e in modo particolarmente manifesto, l'opposizione alla pulsione (atteggiamento di estrema pulizia che maschera completamente il gioco dell'erotismo anale). Ma questi sono piuttosto dei modelli di meccanismo. In realtà, in una data formazione reattiva, si può individuare l'azione della pulsione contro cui il soggetto si difende: da un lato, essa fa irruzione bruscamente o in certi momenti o in certi settori dell'attività del soggetto, e sono proprio questi scatti flagranti, che contrastano con la rigidità dell'atteggiamento esibito dal soggetto, che consentono di accordare a un tratto della personalità il suo valore sintomatico; d'altro lato, nell'esercizio stesso della virtù esibita, il soggetto, spingendo i suoi atti fino alle loro estreme conseguenze, riesce di fatto a soddisfare la pulsione antagonista che finisce per permeare tutto il sistema difensivo. La massaia assillata dal desiderio di pulizia di fatto impernia la sua esistenza sulla polvere e la sporcizia. Il giurista che spinge all'estremo limite con pignoleria il suo desiderio di equità può esibire così la profonda indifferenza per i problemi reali di coloro che egli deve tutelare e soddisfare, sotto la maschera della virtù, le sue tendenze sadiche...

Si può andare oltre e insistere maggiormente sul rapporto tra la pulsione e la formazione reattiva considerando quest'ultima come un'espressione quasi diretta del conflitto tra due impulsi contrari, conflitto radicalmente ambivalente: “... uno dei due impulsi che lottano tra loro, di regola quello tenero, è enormemente rafforzato, mentre l'altro svanisce”. La formazione reattiva potrebbe allora essere definita come un'utilizzazione da parte dell'Io dell'opposizione inerente all'ambivalenza pulsionale. Si può estendere il concetto di formazione reattiva al di là del campo nettamente patologico? Freud, quando introduce il termine nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905), fa riferimento al ruolo che svolgono le formazioni reattive nello sviluppo di ogni individuo umano in quanto esse si costituiscono nel corso del periodo di latenza: “... le eccitazioni sessuali risvegliano delle controforze (moti reattivi) che, per poter reprimere efficacemente questo dispiacere [risultante dall'attività sessuale], erigono le dighe psichiche {...]: ripugnanza, pudore, moralità” (4a). In questo modo, Freud ha sottolineato il ruolo che svolge il processo di formazione reattiva, accanto alla sublimazione, nella costituzione dei caratteri e delle virtù umane. Quando verrà introdotta la nozione di Super-io, la sua genesi sarà attribuita in gran parte al meccanismo di formazione reattiva.

IDEALIZZAZIONE. = D.: Idealisierung.

• Processo psichico con cui le qualità e il valore dell'oggetto sono portati alla perfezione. L'identificazione con l'oggetto idealizzato contribuisce alla formazione e all'arricchimento delle istanze ideali della persona (Io ideale, ideale dell'lo).

• E' in relazione alla nozione di narcisismo che Freud è indotto a definire l'idealizzazione, che egli aveva già mostrato in azione, particolarmente nella vita amorosa (sopravvalutazione sessuale). Egli la distingue dalla sublimazione, la quale “... è un processo che concerne la libido oggettuale e consiste nel fatto che la pulsione si dirige verso un'altra meta distante dalla soddisfazione sessuale [...]. L'idealizzazione è un processo che riguarda l'oggetto, il quale viene ingrandito ed esaltato psichicamente senza che venga cambiata la sua natura. L'idealizzazione è possibile sia nel campo della libido dell'Io che in quello della libido oggettuale”.

L'idealizzazione, specie quella dei genitori, fa necessariamente parte della costituzione, in seno al soggetto, delle istanze ideali (vedi: Io ideale; Ideale dell'Io). Ma essa non è sinonimo della formazione degli ideali della persona, giacché può riguardare un oggetto indipendente, come nel caso dell'idealizzazione di un oggetto amato. Va notato tuttavia che persino in questo caso l'idealizzazione ha sempre l'impronta del narcisismo: “Noi vediamo che l'oggetto è trattato come il proprio lo e che quindi nella passione amorosa una rilevante quantità di libido narcisistica si riversa sull'oggetto”. Il ruolo difensivo dell'idealizzazione è stato sottolineato da numerosi autori, in particolare da Melanie Klein. Per quest'ultima, l'idealizzazione dell'oggetto sarebbe essenzialmente una difesa contro le pulsioni distruttrici; in questo senso, essa corrisponderebbe a una scissione spinta all'estremo tra un oggetto “buono” idealizzato e dotato di tutte le qualità (per esempio, seno materno sempre disponibile e inesauribile) e un oggetto “cattivo ” i cui tratti persecutori sono anch'essi portati al parossismo.

IDENTIFICAZIONE. = D.: Identifizierung.

• Processo psicologico con cui un soggetto assimila un aspetto, una proprietà, un attributo di un'altra persona e si trasforma, totalmente o parzialmente, sul modello di quest'ultima. La personalità si costituisce e si differenzia attraverso una serie di identificazioni.

• 1) Dato che il termine di identificazione appartiene sia al linguaggio corrente che al linguaggio filosofico, è utile precisare dapprima, da un punto di vista semantico, i limiti del suo uso nel vocabolario della psicanalisi. Il sostantivo identificazione può essere preso sia in un senso transitivo, corrispondente al verbo identificare, sia in un senso riflessivo, corrispondente al verbo identificarsi. Questa distinzione è presente nei due sensi del termine che sono differenziati da Lalande. “A) Azione di identificare, cioè di riconoscere come identico, o numericamente, per esempio "l'identificazione di un criminale", o per natura, per esempio quando si riconosce un oggetto come appartenente a una certa classe [...], oppure quando si considera una classe di fatti come assimilabile a un'altra [...]“. “B) Atto con cui un individuo diventa identico a un altro, o con cui due esseri diventano identici (nel pensiero o nella realtà, totalmente o secundum quid). Entrambe queste accezioni sono presenti in Freud. Egli descrive come caratteristico del lavoro del sogno il procedimento che traduce la relazione di somiglianza, il “proprio come sé”, con una sostituzione di un'immagine a un'altra o “identificazione”. E’ questo appunto il senso A di Lalande, ma l'identificazione non ha qui un valore cognitivo: essa è un procedimento attivo che sostituisce un'identità parziale o una rassomiglianza latente con una identità totale. Nella psicanalisi tuttavia il termine di identificazione rinvia soprattutto al senso di “identificarsi”.

2) L'identificazione - nel senso di identificarsi - si interseca nell'uso corrente con tutta una serie di concetti psicologici quali: imitazione, Einfuhlung (empatia), simpatia, contagio mentale, proiezione, ecc. Per chiarire le idee, si è potuto proporre di distinguere in questo campo, secondo il senso in cui è effettuata l'identificazione, tra una identificazione eteropatica (Scheler) e centripeta (Wallon), in cui il soggetto identifica la propria persona con un'altra, e una identificazione idiopatica e centrifuga in cui il soggetto identifica l'altro con la propria persona. Infine, nei casi in cui i due movimenti coesistono, si sarebbe in presenza di una forma di identificazione più complessa cui si ricorre talora per spiegare la formazione del “noi”.

Il concetto di identificazione ha assunto gradualmente nell'opera di Freud il valore centrale che ne fa, più che un meccanismo psicologico tra gli altri, l'operazione con cui si costituisce il soggetto umano. Questa evoluzione è parallela alla messa in evidenza del complesso di Edipo nei suoi effetti strutturali e all'elaborazione della seconda teoria dell'apparato psichico in cui le istanze che si differenziano a partire dall'Es sono distinte in base alle identificazioni da cui derivano. Tuttavia, l'identificazione era stata menzionata molto presto da Freud, soprattutto a proposito dei sintomi isterici. I fatti detti di imitazione e di contagio mentale erano noti in realtà da lungo tempo, ma Freud è andato oltre spiegandoli con l'esistenza di un elemento inconscio comune alle persone in causa: “...l'identificazione non è semplice imitazione, ma appropriazione in base alla stessa pretesa eziologica; essa esprime un "come" e si riferisce a qualcosa di comune che rimane nell'inconscio”. Questo qualcosa di comune è un fantasma: per esempio, l'agorafobo si identifica inconsciamente con una “ragazza di strada” e il suo sintomo costituisce una difesa contro questa identificazione e contro il desiderio sessuale che essa suppone. Infine, Freud nota molto presto che possono coesistere varie identificazioni: “... il fatto dell'identificazione permette forse di dare un significato letterale all'espressione: molteplicità delle persone psichiche”.

Successivamente, il concetto di identificazione viene arricchito con diversi apporti:

1) La nozione di incorporazione orale è messa in luce negli anni 1912-15 (Totem e tabù, Lutto e melanconia ). Freud mostra in particolare il suo ruolo nella melanconia, in cui il soggetto si identifica nel modo orale con l'oggetto perduto, per regressione alla relazione oggettuale caratteristica della fase orale.

2) E’ messa in luce anche la nozione di narcisismo. Nell'Introduzione del narcisismo (1914), Freud indica la dialettica che lega la scelta d'oggetto narcisistica (l'oggetto è scelto sul modello della propria persona) e l'identificazione (il soggetto, o una delle sue istanze, è costituito sul modello dei suoi oggetti precedenti: genitori, persone dell'ambiente).

3) Gli effetti del complesso di Edipo sulla strutturazione del soggetto sono descritti in termini di identificazione: gli investimenti sui genitori sono abbandonati e sostituiti con identificazioni. Una volta enucleata la formula generalizzata dell'Edipo, Freud mostra che tali identificazioni formano una struttura complessa in quanto il padre e la madre sono a un tempo oggetto di amore e di rivalità. E probabile d'altronde che una forma di ambivalenza nei confronti dell'oggetto sia essenziale alla costituzione di qualsiasi identificazione.

4) L'elaborazione della seconda teoria dell'apparato psichico mostra l'arricchimento e la crescente importanza della nozione di identificazione: le istanze della persona non sono più descritte in termini di sistemi in cui si trascrivono immagini, ricordi, “contenuti” psichici, ma come i relitti, con diverse modalità, delle relazioni oggettuali. Questo arricchimento della nozione di identificazione non è approdato, né in Freud né nella teoria psicanalitica, a una descrizione sistematica delle diverse modalità dell'identificazione.

Freud infatti si è dichiarato poco soddisfatto delle proprie formulazioni a questo riguardo. L'esposizione più completa che egli ha tentato di darne si trova nel cap. VII di Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921), in cui distingue tre modi di identificazione: a) come forma originaria del legame affettivo con l'oggetto: si tratta di una identificazione preedipica contrassegnata dalla relazione cannibalica decisamente ambivalente; b) come sostituto regressivo di una scelta d'oggetto abbandonata; c) pur senza alcun investimento sessuale dell'altro, il soggetto può identificarsi con esso in quanto esiste tra loro un elemento in comune (desiderio di essere amato, per esempio): per spostamento si può avere l'identificazione su un punto diverso (identificazione isterica).

Freud nota anche che l'identificazione in alcuni casi non riguarda l'insieme dell'oggetto, ma solo un suo “tratto unico”. Infine, lo studio dell'ipnosi, della passione amorosa e della psicologia dei gruppi, lo induce a contrapporre l'identificazione che costituisce o arricchisce un'istanza della personalità al processo contrario in cui l'oggetto è “messo al posto” di una istanza, per esempio nel caso del leader che si sostituisce all'ideale dell'Io dei membri di un gruppo. Va notato che, in questo caso, esiste anche una identificazione reciproca degli individui gli uni con gli altri, ma essa presuppone tale sostituzione. Si riavrebbero così, ordinate secondo una prospettiva strutturale, le distinzioni che abbiamo indicato più sopra: identificazioni centripete, centrifughe e reciproche.

Il termine di identificazione va distinto da termini affini come incorporazione, introiezione, interiorizzazione. Incorporazione e introiezione sono prototipi dell'identificazione o perlomeno di determinate sue modalità in cui il processo mentale è vissuto e simbolizzato come un'operazione somatica (ingerire, divorare, conservare dentro di sé, ecc.). Tra identificazione e interiorizzazione la distinzione è più complessa giacché mette in gioco opzioni teoriche riguardanti la natura di ciò a cui il soggetto si assimila. Da un punto di vista puramente concettuale, si può dire che l'identificazione si effettua con oggetti: persona (“assimilazione dell'Io a un lo estraneo”), o tratto di una persona, oggetti parziali, mentre l'interiorizzazione riguarda una relazione intersoggettiva. Resta da sapere quale di questi due processi è primario. Si può notare che generalmente l'identificazione di un soggetto A con un soggetto B non è globale bensì secundum quid, il che rinvia a un aspetto della relazione con lui: non mi identifico con il mio capo bensì con uno dei suoi tratti che è legato alla mia relazione sado-masochistica con lui. Ma, d'altra parte, l'identificazione resta sempre contrassegnata dai suoi prototipi primitivi: l'incorporazione è rivolta a cose e la relazione viene confusa con l'oggetto in cui essa si incarna; l'oggetto con cui il bambino intrattiene una relazione di aggressività diventa quasi sostanzialmente l’ “oggetto cattivo”, che è allora introiettato. Inoltre, e ciò è essenziale, l'insieme delle identificazioni di un oggetto costituisce tutt'altro che un sistema relazionale coerente; per esempio, all'interno di una istanza come il Super-io sussistono esigenze diverse, conflittuali, eterogenee. Parimenti, l'ideale dell'Io è costituito da identificazioni con ideali culturali che non sono necessariamente tra loro concordanti.

IDENTIFICAZIONE CON L'AGGRESSORE. = D.: Identifizierung mit dem Angreifer.

• Meccanismo di difesa isolato e descritto da Anna Freud (1936): il soggetto, di fronte a un pericolo esterno (rappresentato tipicamente da una critica proveniente da un'autorità), si identifica con il suo aggressore, assumendo sia la stessa funzione aggressiva, sia imitando fisicamente o moralmente la persona dell'aggressore, sia adottanto taluni simboli di potenza che lo contraddistinguono. Secondo Anna Freud, questo meccanismo sarebbe prevalente nella costituzione dello stadio preliminare del Super-io, in cui l'aggressione rimarrebbe diretta verso l'esterno e non verrebbe ancora rivolta contro il soggetto sotto forma di autocritica.

• L'espressione di identificazione con l'aggressore non figura negli scritti di Freud; ma è stato notato che egli ne aveva descritto il meccanismo, specie a proposito di alcuni giochi dei bambini, nel cap. III di Al di là del principio di piacere (1920). Ferenczi ricorre all'espressione di identificazione con l'aggressore in un testo di carattere particolare: l'aggressione prospettata è l'attentato sessuale dell'adulto, immerso in un mondo di passioni e di colpe, sul bambino supposto innocente. Il comportamento descritto come risultato della paura consiste in una sottomissione totale alla volontà dell'aggressore; il cambiamento provocato nella personalità è “... l'introiezione del senso di colpa dell'adulto”. Anna Freud individua l'identificazione con l'aggressore in vari contesti: aggressione fisica, critica, ecc., in cui l'identificazione può intervenire dopo o prima dell'aggressione temuta. Il comportamento osservato è il risultato di un'inversione dei ruoli: l'aggredito si fa aggressore.

Gli autori che attribuiscono a tale meccanismo un ruolo importante nello sviluppo della persona valutano differentemente la sua portata, specie nella costituzione del Super-io. Per Anna Freud, il soggetto passa attraverso un primo stadio in cui l'insieme della relazione aggressiva è capovolto: l'aggressore è introiettato, mentre la persona attaccata, criticata, colpevole, è proiettata verso l'esterno. Solo in un secondo tempo l'aggressione si rivolgerà verso l'interno e l'insieme della relazione verrà interiorizzata. Daniel Lagache pone invece l'identificazione con l'aggressore all'origine della formazione dell'Io ideale; nell'ambito del conflitto tra le richieste del bambino e quelle dell'adulto, il soggetto si identifica con l'adulto dotato di onnipotenza, il che implica un misconoscimento dell'altro, la sua sottomissione e perfino la sua soppressione. René Spitz, in Il no e il sì (1957), fa largo uso della nozione di identificazione con l'aggressore. Per lui, il ribaltamento dell'aggressione contro l'aggressore è il meccanismo prevalente nell'acquisizione del “no”, verbale e gestuale, che egli colloca verso il quindicesimo mese.

Quale ruolo attribuire all'identificazione con l'aggressore nel complesso della teoria analitica? Si tratta di un meccanismo molto particolare oppure ricopre una parte importante di ciò che è solitamente descritto come identificazione? In particolare, come si articola con ciò che è indicato classicamente come identificazione con il rivale nella situazione edipica? Non pare che gli autori che hanno posto in primo piano questa nozione abbiano formulato il problema.

IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA. = D.: Projektionsidentifizierung.

• Termine introdotto da Melanie Klein per designare un meccanismo che si traduce in fantasmi in cui il soggetto introduce la propria persona (his self) totalmente o parzialmente all'interno dell'oggetto per danneggiarlo, possederlo e controllarlo.

• Il termine di identificazione proiettiva è stato utilizzato da Melanie Klein in un senso molto particolare, che non è quello suggerito a prima vista dall'associazione di queste due parole, cioè una attribuzione ad altri di alcuni tratti di se stesso o di una rassomiglianza globale con se stesso. M. Klein ha descrittq in La psicanalisi del bambino (1932) dei fantasmi di assalto contro l'interno del corpo materno e di intrusione sadica in esso. Ma solo più tardi (1946) ella ha introdotto il termine di identificazione proiettiva per designare “una forma particolare di identificazione che stabilisce il prototipo di una relazione oggettuale aggressiva”. Questo meccanismo, che è in stretta relazione con la posizione paranoide-schizoide, consiste in una proiezione fantasmatica all'interno del corpo materno di parti scisse dalla persona del soggetto oppure della persona nella sua totalità (e non solo di oggetti cattivi parziali), in modo da ledere e controllare la madre dall'interno. Questo fantasma è la fonte di ansie come quella di essere imprigionato e perseguitato all'interno del corpo della madre; oppure l'identificazione proiettiva può ripercuotersi sull'introiezione facendola sentire “... come una penetrazione violenta dall'esterno nell'interno per punizione di una proiezione violenta”. Un altro pericolo è che l'Io venga indebolito e impoverito in quanto rischia di perdere, nell'identificazione proiettiva, delle parti “buone” di se stesso; per esempio, un'istanza come l'ideale dell'Io potrebbe diventare esterna al soggetto. M. Klein e Joan Riviere vedono agire fantasmi di identificazione proiettiva in vari stati patologici come la spersonalizzazione e la claustrofobia. L'identificazione proiettiva appare quindi come una modalità della proiezione. M. Klein parla qui di identificazione solo perché è la persona propria che è proiettata.

L'uso kleiniano dell'espressione “identificazione proiettiva” è conforme al senso stretto che si tende a riservare nella psicanalisi al termine proiezione: rigetto all'esterno di ciò che il soggetto rifiuta in sé, proiezione della parte cattiva. Tale accezione lascia aperto il problema della possibilità di distinguere nell'identificazione tra le modalità in cui il soggetto assimila se stesso all'altra persona e le modalità in cui è l'altro che viene assimilato al soggetto. Raggruppare queste ultime modalità sotto il termine di identificazione proiettiva suppone una attenuazione del concetto psicanalitico di proiezione. E quindi preferibile una contrapposizione quale quella tra identificazione centripeta e identificazione centrifuga.

INTROIEZIONE. = D.: Introjektion.

• Processo messo in evidenza dall'indagine analitica: il soggetto fa passare, in modo fantasmatico, dal “di fuori” al “di dentro” oggetti e loro qualità. L'introiezione è affine all'incorporazione, che costituisce il suo prototipo somatico, ma non implica necessariamente un riferimento al limite somatico (introiezione nell'Io, nell'idealedell'Io, ecc.). Essa è in stretto rapporto con l'identificazione.

• Il termine di introiezione, coniato per simmetria con quello di proiezione, è stato introdotto da Sandor Ferenczi. In Introiezione e transfert (1909) egli scrive: “Mentre il paranoico espelle dal suo lo le tendenze diventate spiacevoli, il nevrotico cerca una soluzione facendo entrare nel suo lo la maggior parte possibile del mondo esterno, facendone l'oggetto di fantasmi inconsci. Si può dare quindi a questo processo, in contrasto con la proiezione, il nome di introiezione”. E difficile tuttavia enucleare dall'insieme di questo articolo un'accezione precisa della nozione di introiezione, giacché Ferenczi sembra utilizzarla in un senso lato, cioè nel senso di una “passione per il transfert” che induce il nevrotico a “attutire i suoi affetti liberamente fluttuanti estendendo la cerchia dei suoi interessi”. Egli arriva così a designare col termine di introiezione un tipo di comportamento (specie nell'isterico) che potrebbe essere chiamato anche proiezione.

Freud adotta il termine di introiezione e lo oppone nettamente alla proiezione. Il testo più esplicito a questo riguardo è Pulsioni e loro destino (1915), in cui è prospettata la genesi dell'opposizione soggetto (io) - oggetto (mondo esterno) in corrispondenza all'opposizione piacere-dispiacere: l’ “Io-piacere purificato” si costituisce mediante una introduzione di tutto ciò che è fonte di piacere e mediante una proiezione al di fuori di tutto ciò che occasione di dispiacere. Si incontra la stessa opposizione in La negazione (1925): “l’Io-piacere originario vuole [...] introiettarsi tutto il bene e respingere da sé tutto il male”. L'introiezione è caratterizzata inoltre dal suo legame con l'incorporazione orale. I due termini d'altronde sono spesso usati come sinonimi da Freud e da numerosi autori. Freud mostra come l'opposizione introiezione-proiezione si realizzi dapprima nel modo orale prima di generalizzarsi. Tale processo “... si esprime così nel linguaggio delle pulsioni più antiche, quelle orali: voglio mangiare questo o voglio sputarlo; e tradotto in una espressione più generale: voglio introdurre questo, in me e escludere quello da me”.

E' opportuno quindi mantenere una distinzione, d'altronde suggerita da quest'ultimo passo, tra incorporazione e introiezione. Nella psicanalisi il limite somatico è il prototipo di ogni separazione tra interno e esterno, e il processo di incorporazione si riferisce esplicitamente a questo involucro somatico. Il termine di introiezione è più ampio: non è più soltanto l'interno del corpo che è in causa, ma anche l'interno dell'apparato psichico, di una istanza, ecc. Si parla quindi di introiezione nell'Io, nell'ideale dell'Io, ecc.

L'introiezione è stata messa in evidenza da Freud dapprima nell'analisi della melanconia, in seguito è stata riconosciuta come un processo più generale. In questa prospettiva essa ha rinnovato la teoria freudiana dell'identificazione. Nella misura in cui l'introiezione rimane contrassegnata dal suo prototipo somatico, essa si traduce in fantasmi riguardanti oggetti, parziali o totali che siano. La nozione svolge quindi un ruolo importante in autori come Abraham e soprattutto M. Klein, la quale ha cercato di descrivere gli andirivieni fantasmatici degli oggetti “buoni” e “ cattivi ” (introiezione, proiezione, reiritroiezione). Questi autori parlano essenzialmente di oggetti introiettati e sembra che il termine dovrebbe essere riservato ai casi in cui sono in causa oggetti o loro qualità. A rigore non si può parlare, come fa talora Freud, di “introiezione dell'aggressività”; sarebbe meglio in tal caso usare l'espressione di “riflessione sulla propria persona”.

ISOLAMENTO. = D.: Isolieren o Isolierung.

• Meccanismo di difesa, tipico soprattutto della nevrosi ossessiva, che consiste nell'isolare un pensiero o un comportamento in modo che siano rotte le loro connessioni con altri pensieri o con il resto dell'esistenza del soggetto. Tra i procedimenti di isolamento, citiamo le pause nel corso del pensiero, le formule, i rituali, e in linea generale tutte le misure atte a stabilire uno iato nella successione temporale dei pensieri e degli atti.

• Il testo più esplicito di Freud sull'isolamento si trova in Inibizione, sintomo e angoscia (1926), in cui è descritto come una tecnica particolare della nevrosi ossessiva. Alcuni malati si difendono contro un'idea, un'impressione, un'azione isolandole dal contesto con una pausa durante la quale “...nulla può più accadere, nulla è percepito, nessuna azione è compiuta”. Questa tecnica attiva, “motoria”, è qualificata da Freud come magica; egli la confronta col procedimento normale di concentrazione del soggetto che si sforza di non lasciar distrarre il suo pensiero dal suo oggetto attuale. L'isolamento si manifesta in diversi sintomi ossessivi; lo si vede in azione in particolare nella cura, in cui è messo in evidenza dalla consegna della libera associazione, che è in contrasto con tale procedimento (soggetti che separano radicalmente la loro analisi dalla loro vita, una serie di idee dall'insieme della seduta, una rappresentazione dal suo contesto ideo-affettivo).

Freud ricollega in ultima analisi la tendenza all'isolamento a un modo arcaico di difesa contro la pulsione: divieto di toccare, “...il contatto corporeo è l'obiettivo immediato dell'investimento oggettuale sia aggressivo che tenero ”. In questa prospettiva, l'isolamento appare come “eliminazione della possibilità di contatti, un mezzo per sottrarre una cosa a qualsiasi toccamento; analogamente, quando il nevrotico, mediante una pausa, isola un'impressione o una attività, ci fa comprendere simbolicamente che non permetterà ai pensieri che li concernono di entrare in contatto associativo con altri”. Va notato che in questo passo di Inibizione, sintomo e angoscia l'isolamento non è ridotto a un tipo determinato di sintomi, ma assume una portata più generale. Esso è messo in parallelo con la rimozione nell'isterico: se l'esperienza traumatizzante non è rimossa nell'inconscio, essa è “...svuotata del suo contenuto affettivo e le sue relazioni associative sono represse (unterdruckt) o interrotte, sicché essa rimane come isolata e non viene neppure riprodotta nel corso dell'attività di pensiero”. I procedimenti di isolamento che si osservano nei sintomi della nevrosi ossessiva non fanno che riprendere e rafforzare questa specie di scissione precedente.

Presa nel suo senso più ampio, la nozione di isolamento è presente nel pensiero di Freud già nelle sue prime riflessioni sull'attività difensiva in generale. Per esempio, in Le neuropsicosi da difesa (1894), la difesa, sia nell'isteria che nel gruppo delle fobie e delle ossessioni, è concepita come un isolamento: “...la difesa è effettuata mediante la separazione tra la rappresentazione insopportabile e il suo affetto; la rappresentazione, per quanto indebolita e isolata, rimane nella coscienza”.

Il termine di isolamento è talora usato nel linguaggio psicanalitico in modo un po' fluttuante, che suscita alcune riserve. Si confonde spesso l'isolamento con processi che si combinano con esso o di cui esso può essere il risultato, come lo spostamento, la neutralizzazione dell'affetto, e perfino la dissociazione psicotica. Si parla anche talora di isolamento del sintomo nel caso di soggetti che sentano e presentino i loro sintomi come fuori di ogni contesto ed estranei a loro stessi. Si tratta di un modo di essere che non implica necessariamente che il processo sottostante sia il meccanismo ossessivo di isolamento.

Va notato infine che è una caratteristica molto generale del sintomo il fatto di localizzare il conflitto; ogni sintomo può quindi apparire come isolato rispetto all'insieme dell'esistenza del soggetto. In realtà, riteniamo che sarebbe opportuno riservare il termine di isolamento per designare un processo specifico di difesa che va dalla coazione fino a un atteggiamento sistematico e programmato e che consiste in una interruzione delle connessioni associative di un pensiero o di un'azione specie con ciò che lo precede e lo segue nel tempo.

NEGAZIONE D.: Verneinung.

• Procedimento con cui il soggetto, pur formulando uno dei suoi desideri, pensieri, sentimenti fino allora rimossi, continua a difendersi da esso negando che gli appartenga.

• Questa parola richiede anzitutto alcune osservazioni d'ordine terminologico.

1) Nella coscienza linguistica comune, non esistono sempre per ogni lingua distinzioni nette tra i vari termini che indicano l'azione di negare e tanto meno esistono corrispondenze biunivoche tra i diversi termini da una lingua all'altra. In tedesco Verneinung designa la negazione nel senso logico o grammaticale del termine (non esistono i verbi neinen o beneinen), ma anche la smentita nel senso psicologico (rifiuto di una affermazione che ho enunciato o che mi si attribuisce, per esempio: no, non l'ho detto, non l'ho pensato). Verleugnen (o leugnen) si avvicina a verneinen inteso in questo secondo senso: rinnegare, rifiutare, sconfessare, smentire. In italiano, si può distinguere tra la negazione nel senso grammaticale o logico e la smentita o il diniego che implicano contestazioni o rifiuto.

2) Nell'uso freudiano, sembra si possano legittimamente distinguere due usi diversi per verneinen e verleugnen. Verleugnen tende infatti, verso la fine dell'opera di Freud, a essere riservato per designare il rifiuto della percezione di un fatto che si impone nel mondo esterno; in inglese gli editori della Standard Edition, che hanno notato il senso specifico che assume in Freud Verleugnung, hanno deciso di tradurre questo termine con disaworal. In italiano proponiamo di tradurlo con diniego. Quanto all'uso che Freud fa del termine Verneinung, l'ambiguità negazione-smentita non può sfuggire al lettore. Forse proprio questa ambiguità è uno dei motivi che rendono così suggestivo l'articolo che Freud ha dedicato alla Verneinung. Notiamo che talvolta in Freud si trova anche il termine di origine latina Negation.

Le distinzioni terminologiche e concettuali del tipo di quelle che qui proponiamo non sono sempre state fatte sinora nella letteratura psicanalitica e nelle traduzioni. E stata l'esperienza della cura che ha indotto Freud a mettere in evidenza il procedimento della negazione. Egli ha incontrato molto presto negli isterici da lui curati una forma di resistenza particolare: “...più si procede nel profondo, più difficilmente i ricordi che emergono vengono riconosciuti, sinché in prossimità del nucleo si incontrano quei ricordi che il paziente, anche riproducendoli, rinnega”. L’ “uomo dei topi” fornisce un buon esempio di negazione. Egli aveva pensato da bambino che avrebbe ottenuto l'amore di una bambina a condizione che lo colpisse una disgrazia: “... il pensiero che si impose alla sua mente fu che tale disgrazia avrebbe potuto essere la morte di suo padre. Egli aveva subito respinto energicamente questo pensiero, e anche ora si rifiutava di ammettere che si trattasse di un vero e proprio "desiderio". Non era altro che un"associazione di idee". - Obietto: Ma se non era un desiderio, perché trovò necessario combatterlo ? - Semplicemente a causa del suo contenuto che mio padre sarebbe dovuto morire”. Il seguito dell'analisi dimostrò che esisteva in realtà un desiderio ostile verso il padre: “...il diniego è immediatamente seguito da conferma, dapprima indiretta”.

L'idea che la presa di coscienza del rimosso sia segnalata spesso, nella cura, dalla negazione costituisce il punto di partenza dell'articolo che Freud vi dedica nel 1925. “ Non vi è prova più forte che si è riusciti a scoprire l'inconscio che veder reagire l'analizzato con queste parole: "non ci pensavo" oppure "non ci ho mai pensato''”. La negazione conserva lo stesso valore di conferma quando viene opposta all'interpretazione dell'analista. Ma ciò solleva un'obiezione di principio che non sfugge a Freud: non rischia questa ipotesi, egli si chiede nelle Costruzioni nell'analisi (1937), di garantire sempre il sopravvento dell'analista? “... quando l'analizzato ci approva, ha ragione; ma quando ci contraddice, questo è solo un segno della sua resistenza ed egli ci dà ancora ragione”. Freud ha dato a queste critiche una risposta sfumata, consigliando all'analista di cercare la conferma nel contesto e nell'evoluzione della cura.

Rimane comunque che la negazione ha per Freud il valore di un indice che segnala il momento in cui un'idea o un desiderio inconsci cominciano a risorgere, questo sia nella cura che fuori di essa. Freud ha dato di questo fenomeno, in particolare in La negazione (1925), una spiegazione metapsicologica molto precisa, che sviluppa tre affermazioni strettamente interdipendenti:

1) “La negazione è un mezzo per diventar consapevoli del rimosso [...]”;

2) “...soltanto una delle conseguenze del processo di rimozione viene eliminata, cioè il fatto che il contenuto rappresentativo non arrivava alla coscienza. Ne deriva una specie di ammissione intellettuale del rimosso mentre permane l'essenziale della rimozione ”;

3) “per mezzo del simbolo della negazione, il pensiero si libera delle limitazioni della rimozione.. ”. Quest'ultima proposizione mostra che per Freud la negazione di cui si parla nella psicanalisi e la negazione nel senso logico e linguistico (il “simbolo della negazione) hanno la stessa origine. Questa è la tesi principale del suo articolo.

PRECLUSIONE. D.: Verwerfung. - Fr,: forclusion.

• Termine introdotto da Jacques Lacan: meccanismo specifico che sarebbe all'origine del fatto psicotico; esso consisterebbe in un rigetto primordiale di un “significante” fondamentale (per esempio: il fallo in quanto significante del complesso di castrazione) fuori dell'universo simbolico del soggetto. La preclusione si distinguerebbe dalla rimozione per due aspetti: 1) i significanti preclusi non sono integrati nell'inconscio del soggetto; 2) essi non ritornano “dall'interno”, ma in seno al reale, specialmente nel fenomeno allucinatorio.

• J. Lacan si rifà all'uso che fa talora Freud del termine di Verwerfung (reiezione) in connessione con la psicosi e ha proposto come suo equivalente francese il termine di forclusion (preclusione). L'affiliazione freudiana sostenuta su questo punto da J. Lacan richiede due serie di osservazioni concernenti la terminologia e la concezione freudiana della difesa psicotica.

I. - Un'indagine terminologica nell'insieme dei testi freudiani consente di formulare le seguenti conclusioni:

1) Il termine di Verwerfung (o il verbo verwerfen) è usato da Freud con accezioni abbastanza diverse, che possono essere ricondotte schematicamente a tre: a) nel senso generico di un rifiuto, che può operare per esempio secondo il meccanismo della rimozione; b) nel senso di un rigetto sotto forma di giudizio cosciente di condanna. Con questa accezione, si trova più spesso la parola composta Urteilsverwerfung che Freud stesso considera sinonimo di Verurteilung (giudizio di condanna); c) il senso sottolineato da Lacan è suffragato maggiormente da altri testi. Per esempio, in Le neuropsicosi da difesa (1894) Freud scrive a proposito della psicosi: “Esiste un tipo di difesa molto più energico e molto più efficace che consiste nel fatto che l'Io rigetta (verwirft) la rappresentazione insopportabile insieme al suo affetto e si comporta come se la rappresentazione non fosse mai giunta all'Io ”. Il principale testo a cui Lacan fa riferimento a sostegno della sua concezione della forclusion è L'uomo dei lupi, in cui ritornano a più riprese le parole verwerfen e Verwerfung. Il passo più probante è probabilmente quello in cui Freud accenna alla coesistenza nel soggetto di vari atteggiamenti nei confronti della castrazione: “... la terza corrente, la più antica e la più profonda, che aveva puramente e semplicemente rigettato (verworfen) la castrazione, senza che fosse neppure questione di un giudizio circa la sua realtà, tale corrente era certamente ancora riattivabile. Ho riferito in un altro testo una allucinazione che questo paziente aveva avuto all'età di cinque anni...”.

2) Si incontrano in Freud altri termini, usati in un senso affine a quello di Verwerfung: Ablehnen (ricusare); Aufheben (abolire, sopprimere); Verleugnen (rinnegare, sconfessare). In conclusione, si può costatare, limitandosi al punto di vista terminologico, che l'uso del termine di Verwerfung non corrisponde sempre al concetto di forclusion e che anche altri termini freudiani designano ciò che Lacan cerca di mettere in evidenza.

II. - A parte questa semplice indagine terminologica, si potrebbe mostrare che l'introduzione da parte di Lacan del termine di forclusion si ricollega a una esigenza costante in Freud: quella di definire un meccanismo di difesa specifico della psicosi. A questo proposito, le opzioni terminologiche di Freud possono essere talora ingannevoli, specie dove parla di “rimozione ” a proposito della psicosi. Freud stesso ha sottolineato questa ambiguità: “....si può dubitare che il processo chiamato rimozione nelle psicosi abbia ancora qualcosa in comune con la rimozione nelle nevrosi di transfert”.

Si potrebbe rintracciare lungo tutta l'opera di Freud questa linea di pensiero concernente la psicosi. Nei primi testi freudiani, essa è attestata in particolare dalla discussione del meccanismo della proiezione, che è concepita, nello psicotico, come un effettivo rigetto immediato nell'esterno e non come un ritorno secondario del rimosso inconscio. Successivamente, quando Freud cercherà di interpretare la proiezione come una semplice fase successiva alla rimozione nevrotica, egli si vedrà costretto ad ammettere che la proiezione - presa in questo senso - non è più la molla essenziale della psicosi: “ Non era esatto dire che la sensazione repressa (unterdrückt) interiormente venisse proiettata verso l'esterno; riconosciamo piuttosto che ciò che è stato abolito (das Aufgehobene) interiormente ritorna dall'esterno”. Anche i termini di “disinvestimento della realtà” e di “perdita di realtà” vanno riferiti a questo meccanismo primario di separazione e di rigetto all'esterno della “percezione” insopportabile. Infine, nei suoi ultimi lavori, Freud concentrerà la sua riflessione sulla nozione di Verleugnung o “diniego della realtà”. Sebbene la consideri principalmente nel caso del feticismo, egli nota esplicitamente che tale meccanismo apparenta questa perversione alla psicosi. Il diniego opposto dal bambino, dal feticista, dallo psicotico a questa realtà costituita dall'assenza del pene nella donna, è concepito come un rifiuto di ammettere la “percezione” stessa e a fortiori di trarne la conseguenza, cioè la “teoria sessuale infantile” della castrazione.

Freud contrappone nel 1938 due modi di difesa: “respingere un'esigenza pulsionale del mondo interno” e “ricusare un frammento del mondo esterno”. Nel 1894 egli descriveva già la difesa psicotica in termini quasi identici: “L'Io si svincola dalla rappresentazione insopportabile; ma questa inerisce indissolubilmente a un frammento della realtà e l'lo, nell'ottenere questo risultato, si è anche staccato totalmente o parzialmente dalla realtà”. Come concepire, in ultima analisi, questo tipo di “rimozione” nel mondo esterno, simmetrica alla rimozione nevrotica? Freud la descrive per lo più in termini economici: disinvestimento del percepito, ritiro narcisistico della libido accompagnato forse da un ritiro dell' “interesse” non libidico. In altre occasioni, Freud sembra giungere all'idea di un ritiro del significato, di un rifiuto di attribuire un senso al percepito. Queste due concezioni d'altronde non si escludono l'un l'altra nella mente di Freud: il ritiro dell'investimento (Besetzung) è anche un ritiro del significato (Bedeutung).

III. - La nozione di forclusion prolunga questa linea del pensiero freudiano nel quadro della teoria del “simbolico” di J. Lacan. Questo autore si appoggia in particolare sui testi dell'Uomo dei lupi in cui Freud mostra come gli elementi percepiti nella scena primitiva riceveranno solo “retroattivamente” il loro senso e la loro interpretazione. Al momento della prima esperienza traumatica - a un anno e mezzo - il soggetto era incapace di elaborare, sotto forma di una teoria della castrazione, questo dato grezzo costituito dall'assenza del pene nella madre: “ Egli rigettò (verwarf) [la castrazione] e si attenne alla teoria del coito anale [...]. Nessun giudizio viene così formulato in realtà sull'esistenza della castrazione, ma il risultato fu come se essa non fosse esistita”.

Nei diversi testi di Freud esiste una reale ambiguità per quanto riguarda ciò che è rigettato (verworfen) o ricusato (verleugnet) quando il bambino rifiuta la castrazione. E la castrazione stessa? In tal caso sarebbe una vera teoria interpretativa dei fatti e non una semplice percezione che sarebbe rigettata. Si tratta della “mancanza del pene” nella donna? Ma è difficile parlare allora di una “percezione” che sarebbe rifiutata, giacché una assenza non è un fatto percettivo a meno che non sia messa in relazione con una presenza possibile. L'interpretazione di Lacan consentirebbe di trovare una soluzione alle difficoltà che abbiamo messo in evidenza.

Basandosi sul testo di Freud La negazione (1925), egli definisce la Verwerfung in base al suo rapporto a un “processo primario” comprendente due operazioni complementari: “l'Einbeziehung ins Ich, l'introduzione nel soggetto, e l'Ausstossung aus dem Ich, l'espulsione dal soggetto”. La prima di queste operazioni corrisponde a ciò che Lacan chiama anche “simbolizzazione ”, o Bejahung (posizione, affermazione) “primaria”. La seconda “... costituisce il reale in quanto è il campo che sussiste fuori della aimbolizzazione”. La forclusion consiste allora nel non simbolizzare ciò che avrebbe dovuto essere simbolizzato (la castrazione): è una “abolizione simbolica”. Da ciò la formula che Lacan (traducendo nel suo linguaggio il passo di Freud che abbiamo ricordato più sopra: “...non era esatto dire... ”) dà dell'allucinazione: “...ciò che è stato escluso (forclos) dal simbolico riappare nel reale ”. J. Lacan ha sviluppato ulteriormente il concetto di forclusion nel quadro di concezioni linguistiche, nel suo articolo Su una questione preliminare a ogni trattamento possibile della psicosi.

PROIEZIONE. = D.: Projektjon.

• A) Termine utilizzato in un senso molto generale in neurofisiologia e in psicologia per denominare l'operazione con cui un fatto neurologico o psicologico è spostato e localizzato all'esterno, passando dal centro alla periferia, o dal soggetto all'oggetto. Questo senso comprende varie accezioni. B) Nel senso propriamente psicanalitico, operazione con cui il soggetto espelle da sé e localizza nell'altro, persona o cosa, delle qualità, dei sentimenti, dei desideri e perfino degli “ oggetti ”, che egli non riconosce o rifiuta in sé. Si tratta di una difesa di origine molto arcaica che è in azione particolarmente nella paranoia, ma anche in modi di pensiero “ normali ” come la superstizione.

• Il termine di proiezione ha oggi un uso molto esteso sia in psicologia che nella psicanalisi; esso comporta diverse accezioni che non sono ben distinte tra loro, come è stato spesso notato. Può essere utile enumerare i vari significati del termine “proiezione” attenendosi dapprima a un livello semantico

a) In neurologia, si parla di proiezione in un senso derivato da quello della geometria, in cui il termine designa una corrispondenza punto per punto, per esempio tra una figura nello spazio e una figura piana. Si dirà per esempio che un'area cerebrale costituisce la proiezione di un apparato somatico, recettore o effettore: si denomina così una corrispondenza che si può stabilire secondo leggi definite o punto per punto o da struttura a struttura in una direzione sia centripeta che centrifuga.

b) Una seconda accezione deriva dalla precedente, ma implica un movimento dal centro verso la periferia. Si è potuto dire, in un linguaggio psicofisiologico, che le sensazioni olfattive per esempio sono localizzate per proiezione al livello dell'apparato recettore. Freud parla in questo senso di una “sensazione di prurito o di eccitazione di origine centrale proiettata nella zona erogena periferica”. Nella stessa prospettiva, si può definire, come fanno H.B. English e A.C. English, la proiezione “eccentrica” come “localizzazione di un dato sensoriale nella posizione che l'oggetto stimolo occupa nello spazio anziché nel punto di stimolazione sul corpo”. In psicologia, si parla di proiezione per designare i processi seguenti:

c) Il soggetto percepisce l'ambiente e risponde a esso in funzione dei propri interessi, attitudini, abitudini, stati affettivi duraturi o momentanei, attese, desideri, ecc. Tale correlazione tra Innenwelt e Umwelt è una delle acquisizioni della biologia e della psicologia moderne, specie sotto l'impulso della “psicologia della forma”. Essa si verifica a tutti i livelli del comportamento: un animale ritaglia nel campo percettivo alcuni stimoli privilegiati che orientano tutto il suo comportamento; un uomo d'affari considererà tutti i suoi oggetti dal punto di vista di ciò che si può acquistare o vendere (“deformazione professionale “); la persona di buon umore è incline a vedere tutto roseo, ecc. Più profondamente, strutture o tratti essenziali della personalità possono comparire nel comportamento manifesto. Questo fatto è alla base delle tecniche dette proiettive: il disegno del bambino rivela la sua personalità; nelle prove standardizzate costituite dai test proiettivi propriamente detti (Rorschach, T.A.T., per esempio) il soggetto è messo di fronte a situazioni poco strutturate e a stimoli ambigui, il che consente “di leggere, secondo regole di decodificazione proprie del tipo di materiale e di attività creativa proposto, alcuni tratti del suo carattere e alcuni sistemi di organizzazione della sua condotta e delle sue emozioni”.

d) Il soggetto mostra col suo atteggiamento che egli assimila una persona a un'altra: si dice allora, per esempio, che egli “proietta” l'immagine di suo padre sul suo principale. Viene denominato così, in modo poco appropriato, un fenomeno che la psicanalisi ha scoperto sotto il nome di transfert. e) Il soggetto si assimila a persone estranee o, inversamente, assimila a se stesso persone, esseri animati o inanimati. Per esempio, si dice correntemente che il lettore di romanzi si proietta in questo o quell'eroe e, nell'altro senso, che La Fontaine, per esempio, ha proiettato negli animali delle sue Favole sentimenti e ragionamenti antropomorfici. Tale processo dovrebbe essere incluso piuttosto nel campo di ciò che gli psicanalisti chiamano identificazione.

f) Il soggetto attribuisce ad altri le tendenze, i desideri, ecc. che egli non riconosce in se stesso: il razzista, per esempio, proietta sul gruppo disprezzato le proprie colpe e le proprie inclinazioni inconfessate. Questo senso, che H.B. e A.C. English denominano disowning projection, sembra il più vicino a quello che Freud ha descritto col nome di “proiezione”.

II - Freud è ricorso alla proiezione per rendere conto di diverse manifestazioni della psicologia normale e patologica.

1) La proiezione è scoperta anzitutto nella paranoia. Freud dedica a questa affezione due brevi scritti già nel 1895-96 e il cap. III delle sue Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa (1896). La proiezione è descritta come una difesa primaria che costituisce un uso errato di un meccanismo normale che consiste nel cercare nell'esterno l'origine di un dispiacere. Il paranoico proietta le sue rappresentazioni intollerabili che gli ritornano dal di fuori sotto forma di rimproveri: “... il contenuto effettivo rimane intatto, ma vi è un cambiamento nella sua collocazione”. In ogni successiva occasione in cui Freud tratta della paranoia, egli invoca la proiezione, specie nello studio del Caso Schreber. Ma va notato come Freud vi limiti il ruolo della proiezione: essa è solo una parte del meccanismo della difesa paranoica e non è egualmente presente in tutte le forme dell'affezione.

2) Nel 1915 Freud descrive l'insieme della costruzione fobica come una vera proiezione nel reale del pericolo pulsionale: “L'Io si comporta come se il pericolo di sviluppo dell'angoscia non venisse da un moto pulsionale, bensì da una percezione e può quindi reagire contro tale pericolo esterno con i tentativi di fuga degli evitamenti fobici”.

3) In ciò che Freud denomina “gelosia proiettiva” distinguendola sia dalla gelosia “normale” che dal delirio di gelosia paranoica, egli vede in azione la proiezione: il soggetto si difende dai propri desideri di essere infedele imputando l'infedeltà al proprio coniuge; egli svia in tal modo la sua attenzione dal proprio inconscio, spostandola sull'inconscio dell'altro, e può diventare a un tempo più lucido per quanto riguarda l'altro e meno cosciente per quanto riguarda se stesso. E quindi talora impossibile e sempre inefficace denunciare la proiezione come una percezione erronea.

4) A più riprese Freud ha insistito sul carattere normale del meccanismo della proiezione. Egli considera infatti la superstizione, la mitologia, l' “animismo” come forme di proiezione. “La conoscenza oscura (la percezione endopsichica, per così dire) dei fattori psichici e delle relazioni che esistono nell'inconscio si riflette [...] nella costruzione di una realtà soprasensibile che deve essere ritrasformata dalla scienza in psicologia dell'inconscio”.

5) Solo in rare occasioni Freud invoca la proiezione a proposito della situazione analitica. Egli non denomina mai il transfert in generale come una proiezione e usa quest'ultimo termine solo per designare un fenomeno particolare del transfert: il soggetto attribuisce al suo analista discorsi o pensieri che sono in realtà suoi (per esempio: “Lei penserà che.., ma non è vero ”).

Questo inventario mostra che Freud, pur incontrando la proiezione in vari campi, le attribuisce tuttavia un senso piuttosto ristretto. La proiezione appare sempre come una difesa, come l'attribuzione all'altro - persona o cosa - di qualità, sentimenti, desideri, che il soggetto rifiuta o ignora in se stesso. L'esempio dell'animismo è quello che dimostra meglio come Freud non intenda la proiezione nel senso di una semplice assimilazione dell'altro a se stesso. Molto spesso infatti si sono spiegate le credenze animistiche in base alla supposta incapacità dei primitivi a concepire la natura senza ricorrere al modello umano; analogamente, a proposito della mitologia, si dice frequentemente che gli antichi “proiettavano” sulle forze della natura le qualità e le passioni umane. Freud, invece - ed è questo il suo principale apporto - ritiene che tale assimilazione trovi il suo principio e il suo scopo in un misconoscimento: i “demoni”, gli “spiriti” incarnerebbero i cattivi desideri inconsci.

III. - Nella maggior parte delle occasioni in cui Freud parla di proiezione, egli evita di trattare il problema nel suo complesso. Nel Caso Schreber egli ne dà la seguente spiegazione: “...dato che la comprensione della proiezione implica un problema psicologico più generale, ci risolviamo a mettere da parte, per studiarlo in un altro contesto, il problema della proiezione e, con esso, il meccanismo della formazione del sintomo paranoico in generale”. Tale studio fu forse scritto, ma non fu mai pubblicato. Tuttavia, Freud ha dato a più riprese delle indicazioni sulla metapsicologia della proiezione. Si può tentare di raggruppare così gli elementi della sua teoria e i problemi da essa posti:

1) La proiezione trova il suo principio più generale nella concezione freudiana della pulsione. E noto che, per Freud, l'organismo è sottoposto a due tipi di eccitazioni generatrici di tensioni: quelle che esso può fuggire e da cui può proteggersi, e quelle che non può fuggire e contro le quali non esiste all'inizio uno schermo antistimolo; è questo il primo criterio della distinzione tra interno ed esterno. La proiezione appare quindi come il mezzo di difesa originaria contro le eccitazioni interne che sono troppo spiacevoli a causa della loro intensità: il soggetto le proietta all'esterno, il che gli permette di fuggirle (illusione fobica per esempio) e di proteggersi da esse. Esiste e “... una inclinazione a trattarle come se non agissero dall'interno, bensì dall'esterno, per poter utilizzare contro di esse il mezzo di difesa dello schermo antistimolo. Questa è l'origine della proiezione”. La contropartita di tale beneficio è, come nota Freud, che il soggetto si trova costretto ad accordare piena fiducia a ciò che ormai è sottoposto alle categorie del reale.

2) Freud fa svolgere un ruolo essenziale alla proiezione, accoppiata con l'introiezione, nella genesi dell'opposizione soggetto (Io)- oggetto (mondo esterno). Il soggetto “...prende nel suo lo gli oggetti che si presentano ad esso in quanto sono fonte di piacere, li introietta (secondo l'espressione di Ferenczi) e, d'altra parte, espelle da sé ciò che nel proprio interno è occasione di dispiacere (meccanismo della proiezione)”. Questo processo di introiezione e proiezione si esprime “nel linguaggio della pulsione orale” con l'opposizione ingerire-rigettare. E questa la fase di ciò che Freud ha chiamato l'Io-piacere purificato. Gli autori che considerano questa concezione freudiana in una prospettiva cronologica si chiedono se il movimento proiezione-introiezione presupponga e produca la differenziazione tra interno ed esterno. Anna Freud per esempio scrive: “Riteniamo che l'introiezione e la proiezione compaiano all'epoca che segue la differenziazione dell'Io dal mondo esterno”. Essa si oppone quindi alla scuola di Melanie Klein che ha messo in primo piano la dialettica dell'introiezione-proiezione dell'oggetto “buono” e “cattivo” e vi ha visto la base stessa della differenziazione interno-esterno.

IV. - Freud ha quindi indicato qual è, a suo avviso, la molla metapsicologica della proiezione. Ma la sua concezione lascia in sospeso una serie di problemi fondamentali, per i quali non si trova in lui una risposta univoca.

1) Una prima difficoltà concerne ciò che è proiettato. Freud descrive spesso la proiezione come la deformazione di un processo normale che ci fa cercare nel mondo esterno la causa dei nostri affetti: egli sembra concepire in questo modo la proiezione quando la vede in azione nella fobia. Nell'analisi del meccanismo paranoico quale si incontra nello studio del Caso Scitreber l'appello alla causalità appare invece come una razionalizzazione a posteriori della proiezione: “...la proposizione "lo odio" è trasformata per proiezione in quest'altra: "egli mi odia" (egli mi perseguita) il che mi dà quindi diritto di odiarlo”. È il sentimento di odio (la pulsione stessa, per così dire) che qui viene proiettato. Infine, in testi metapsicologici come Pulsioni e loro destino (1915) e La negazione (1925) ciò che è proiettato è l’ “odiato”, il “cattivo”. Si è allora molto vicino a una concezione “realistica” della proiezione, che sarà poi pienamente sviluppata da M. Klein: per essa è l'oggetto “cattivo” - fantasmatico che è proiettato, come se la pulsione o il sentimento, per essere veramente espulsi, dovessero necessariamente incarnarsi in un oggetto.

2) Una seconda difficoltà fondamentale emerge nella concezione freudiana della paranoia. Freud infatti non colloca sempre la proiezione allo stesso posto nel complesso del processo difensivo di tale affezione. Nei primi testi in cui parla della proiezione paranoica, egli la concepisce come un meccanismo di difesa primario, il cui carattere viene chiarito in contrapposizione alla rimozione in atto nella nevrosi ossessiva: in questa forma di nevrosi, la difesa primaria consiste in una rimozione nell'inconscio del ricordo patogeno complessivo e nella sua sostituzione con un “sintomo primario di difesa”, la sfiducia in se stessi. Nella paranoia, la difesa primaria va intesa in modo simmetrico: vi è anche qui rimozione, ma nel mondo esterno, e il sintomo primario di difesa è la sfiducia negli altri. Il delirio invece è concepito come uno scacco di tale difesa e come un “ritorno del rimosso” dall'esterno. Nel Caso Schreber, il posto della proiezione è molto diverso; essa è descritta nel momento della “formazione del sintomo”. Tale concezione porterebbe ad accostare il meccanismo della paranoia a quello delle nevrosi: in un primo tempo il sentimento insopportabile (amore omosessuale) sarebbe rimosso nell'interno, nell'inconscio e trasformato nel suo contrario; in un secondo tempo, verrebbe proiettato nel mondo esterno: la proiezione è qui il modo in cui ritorna ciò che è rimosso nell'inconscio.

Questa differenza nella concezione del meccanismo della paranoia permette di definire due accezioni della proiezione: a) In un senso paragonabile a quello cinematografico: il soggetto invia al di fuori l'immagine di ciò che esiste in lui in modo inconscio. La proiezione consiste qui in una forma di misconoscimento, cui corrisponde, come contropartita, la conoscenza nell'altro proprio di ciò che viene misconosciuto nel soggetto. b) Come un processo di espulsione quasi reale: il soggetto getta fuori di sé ciò che non vuole e lo ritrova poi nel mondo esterno. Schematicamente, si potrebbe dire che qui la proiezione è definita non come un “non voler conoscere”, ma un “non voler essere”. La prima prospettiva riduce la proiezione a una illusione, la seconda la innesta in una bipartizione originaria tra soggetto e mondo esterno. Quest'ultimo modo di vedere non è per altro assente nello studio del Caso Schreber, come mostrano queste righe: “Non era esatto dire che il sentimento represso interiormente veniva proiettato al di fuori; piuttosto si sarebbe dovuto dire che ciò che è stato soppresso (aufgehobene) all'interno ritorna dall'esterno”. Va notato che, in questo passo, Freud denomina col termine di proiezione ciò che abbiamo descritto come una forma di semplice misconoscimento ma proprio per questo egli ritiene che la proiezione non basti più per spiegare la psicosi. 3) Un'altra difficoltà riguarda la teoria freudiana dell'allucinazione e del sogno come proiezione. Se, come insiste Freud, è lo spiacevole che è proiettato, come spiegare la proiezione di un appagamento di desiderio? Il problema non è sfuggito a Freud, il quale gli ha dato una risposta che si potrebbe così formulare: sebbene, nel suo contenuto, il sogno appaghi un desiderio gradevole, nella sua funzione primaria, esso è difensivo, in quanto ha anzitutto lo scopo di mantener lontano ciò che rischia di perturbare il sonno: “... al posto della sollecitazione interna che pretendeva di impegnano [il dormiente], è subentrata un'esperienza esterna, della cui sollecitazione egli [l dormiente] si è sbarazzato. Un sogno è quindi anche una proiezione: una esteriorizzazione di un processo interno”.

V. - 1) Nonostante queste difficoltà di fondo, l'uso freudiano del termine di proiezione è, come si vede, nettamente orientato. Si tratta sempre di rigettare all'esterno ciò che ci si rifiuta di riconoscere o di essere in se stessi. Ora, pare che questo senso di rigetto, di espulsione non fosse prevalente prima di Freud nell'uso linguistico, come testimonierebbero queste righe di Renan: “Il bambino proietta su tutte le cose ciò che di meraviglioso porta in sé”. Quest'uso è sopravvissuto naturalmente alla concezione freudiana e spiega talune ambiguità attuali del termine di proiezione in psicologia e talora anche negli psicanalisti.

2) Anche se ci preoccupiamo di conservare al concetto di proiezione il senso ben determinato che gli dà Freud, non intendiamo con questo negare l'esistenza di tutti i processi che abbiamo classificato e distinto più sopra. D'altra parte, lo psicanalista trova sempre in atto in questi vari processi la proiezione come rigetto, come misconoscimento Già la proiezione, in un organo del corpo, di uno stato di tensione, di una sofferenza diffusa, consente di fissarla e di misconoscerne l'origine effettiva. Analogamente, a proposito dei test proiettivi si potrebbe mostrare facilmente che non si tratta soltanto di strutturazione di stimoli in corrispondenza con la struttura della personalità: il soggetto, nelle tavole del T.A.T. in particolare, proietta certamente ciò che egli è, ma anche ciò che rifiuta di essere. Ci si potrebbe perfino chiedere se la tecnica proiettiva non susciti prevalentemente il meccanismo di proiezione del “cattivo” al di fuori. Va notato inoltre che lo psicanalista non assimila il transfert nel suo complesso a una proiezione; egli ammette tuttavia che la proiezione possa svolgervi un ruolo importante. Per esempio, si può ritenere che il soggetto proietti sul suo analista il suo Superio e trovi in questa espulsione una situazione più vantaggiosa, un alleviamento al suo dibattito interno.

Infine, i rapporti tra identificazione e proiezione sono molto intricati, in parte a causa di un uso trascurato della terminologia. Si dice talora, indifferentemente, che l'isterico, per esempio, si proietta in o si identifica con un personaggio. La confusione è tale che Ferenczi ha potuto perfino parlare di introiezione per denominare questo processo. Senza pretendere in alcun modo di esaminare la connessione tra i due meccanismi dell'identificazione e della proiezione, si può pensare che si tratti in questi casi di un uso abusivo del termine di proiezione. In essi infatti non si ritrova più ciò che è sempre presupposto nella definizione psicanalitica della proiezione: una bipartizione in seno alla persona e un rigetto sull'altro della parte di sé che è rifiutata. Questa confusione può essere illustrata con un aneddoto. Nel corso di un colloquio tra filosofi di due tendenze diverse, uno dei partecipanti dichiara: “Non abbiamo forse lo stesso programma? “I hope not [Spero di no]“, risponde uno del gruppo opposto. Nel senso psicologico corrente, si dirà che il primo ha “proiettato”, mentre nel senso freudiano si può supporre che sia il secondo che ha proiettato in quanto la sua presa di posizione mostra un rifiuto radicale delle idee del suo interlocutore, idee che egli teme di ritrovare in se stesso.

RAZIONALIZZAZIONE. = D.: Rationaiisierung. - En.: rationalization.

• Procedimento con cui il soggetto cerca di dare una spiegazione coerente dal punto di vista logico, o accettabile dal punto di vista morale di un atteggiamento, un'azione, un'idea, un sentimento ecc., di cui non sono percepiti i veri motivi; si parla più particolarmente della razionalizzazione di un sintomo, di una coazione difensiva, di una formazione reattiva. La razionalizzazione interviene anche nel delirio, che porta a una sistematizzazione più o meno accentuata.

• Questo termine è stato introdotto nell'uso psicanalitico corrente da E, Jones nel suo articolo La razionalizzazione nella vita quotidiana (1908). La razionalizzazione è un procedimento molto comune, che copre tutto un campo che va dal delirio al pensiero normale. Dato che ogni condotta può ammettere una spiegazione razionale, è spesso difficile decidere se quest'ultima pecchi per difetto. In particolare nella cura psicanalitica si incontrerebbero tutti i casi intermedi tra due estremi: in alcuni casi è facile mostrare al paziente il carattere artificioso delle motivazioni addotte, e incitarlo quindi a non accontentarsene; in altri casi, i motivi razionali sono particolarmente solidi (gli analisti conoscono le resistenze che possono essere dissimulate per esempio con la “citazione della realtà” ), ma anche allora può essere utile metterli “tra parentesi” per scoprire le difese o i soddisfacimenti inconsci che coesistono coi motivi razionali. Come esempio del primo caso si incontrano razionalizzazioni di sintomi, nevrotici o pervertiti (comportamento omosessuale maschile spiegato con la superiorità intellettuale ed estetica dell'uomo, per esempio), di coazioni difensive (rituale alimentare spiegato con motivi di igiene, per esempio). Nel caso di tratti del carattere o di comportamenti molto integrati nell'Io, è più difficile far percepire al soggetto il ruolo svolto dalla, razionalizzazione. La razionalizzazione non è inclusa di solito tra i meccanismi di difesa, nonostante la sua palese funzione difensiva. Ciò è dovuto al fatto che essa non è orientata direttamente contro il soddisfacimento pulsionale, ma viene piuttosto a camuffare secondariamente i vari elementi del conflitto difensivo. Anche le difese, le resistenze nell'analisi, le formazioni reattive possono infatti essere razionalizzate.

La razionalizzazione trova solidi sostegni in ideologie costituite, nella morale comune, nella religione, nelle convinzioni politiche, ecc., in cui l'azione del Super-io viene a rafforzare le difese dell'Io. La razionalizzazione va accostata all'elaborazione secondaria che inserisce le immagini del sogno in uno scenario coerente. E in questo senso limitato che si deve far intervenire, secondo Freud, la razionalizzazione nella spiegazione del delirio. Freud infatti le nega la funzione di creare temi deliranti, opponendosi così a una concezione classica che vede per esempio nella megalomania una razionalizzazione del delirio di persecuzione (“devo essere un gran personaggio per meritare di essere perseguitato da personaggi così potenti”). Intellettualizzazione è un termine affine a razionalizzazione, ma i due termini vanno mantenuti distinti l'uno dall'altro.

REGRESSIONE. = D.: Regression.

• In un processo psichico avente un senso di percorso o di sviluppo si designa con regressione un ritorno in senso inverso da un punto già raggiunto a un punto anteriore a esso. Intesa nel senso topico, la regressione si attua, secondo Freud, lungo una successione di sistemi psichici che l'eccitazione percorre normalmente in un dato verso. Nel suo senso temporale, la regressione suppone una successione genetica e designa il ritorno del soggetto a fasi superate del suo sviluppo (stadi libidici, relazioni oggettuali, identificazioni, ecc.). Nel senso formale, la regressione designa il passaggio a modi di espressione e di comportamento di un livello inferiore dal punto di vista della complessità, della strutturazione e della differenziazione.

• La regressione è un concetto d'uso molto frequente nella psicanalisi e nella psicologia contemporanea; essa è concepita per lo più come un ritorno a forme precedenti dello sviluppo del pensiero, delle relazioni oggettuali e della strutturazione del comportamento. Non è in una prospettiva puramente genetica che Freud ha descritto in un primo tempo la regressione. Dal punto di vista terminologico va notato per altro che regredire significa ritornare indietro, il che può essere concepito in un senso logico o spaziale oltre che temporale. In L'interpretazione dei sogni (1900), Freud introduce il concetto di regressione per spiegare un carattere essenziale del sogno: i pensieri del sogno si presentano principalmente sotto forma di immagini sensoriali che si impongono al soggetto in modo quasi allucinatorio. La spiegazione di questo carattere esige una concezione topica dell'apparato psichico come formato da una successione orientata di sistemi. Allo stato vigile, questi ultimi sono percorsi dalle eccitazioni in un senso progrediente (dalla percezione alla motilità); nello stato onirico, i pensieri trovano chiuso l'accesso alla motilità e regrediscono fino al sistema “percezione”.

La regressione quindi è introdotta da Freud anzitutto in un senso topico. Il suo significato temporale, dapprima implicito, assumerà una importanza sempre maggiore con gli apporti successivi di Freud riguardanti lo sviluppo psicosessuale dell'individuo. Nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905), sebbene non compaia il termine di regressione, si trovano già delle indicazioni riguardanti la possibilità di un ritorno della libido a vie laterali di soddisfacimento e a oggetti precedenti. Notiamo a questo proposito che i passi in cui si parla esplicitamente della regressione sono aggiunti nel 1915. Freud stesso ha notato che ha scoperto solo tardi l'idea di una regressione della libido a un modo precedente di organizzazione. Occorreva infatti che fossero scoperte gradualmente (negli anni 1910-12) le fasi dello sviluppo psicosessuale infantile disposte in un determinato ordine di successione perché potesse essere pienamente enucleato il concetto di regressione temporale. Freud oppone per esempio in La disposizione alla nevrosi ossessiva (1913) i casi in cui “...l'organizzazione sessuale in cui risiede la disposizione alla nevrosi ossessiva non viene mai completamente superata, una volta stabilita... [e i casi in cui]... essa viene dapprima sostituita dalla fase superiore di organizzazione ed è poi riattivata per regressione a partire da quest'ultima”.

Freud è allora indotto ad articolare il concetto di regressione, come è mostrato da questo passo aggiunto nel 1914 a L'interpretazione dei sogni: “Abbiamo distinto tre tipi di regressione: a) topica, nel senso dello schema [dell'apparato psichico]; b) temporale, quando si tratta di un regresso a formazioni psichiche più antiche; c) formale, quando modi di espressione e di raffigurazione abituali sono sostituiti da modi primitivi. Queste tre forme di regressione coincidono nel loro fondamento e nella maggioranza dei casi si trovano unite, poiché ciò che è cronologicamente più antico è nello stesso tempo formalmente primitivo e, nella topica psichica, più vicino all'estremità percettiva “. La regressione topica è particolarmente manifesta nel sonno, in cui giunge al suo punto terminale. La si incontra in altri processi patologici, in cui è meno globale (allucinazione), e perfino in processi normali in cui va meno lontano (memoria).

Il concetto di regressione formale è stato meno utilizzato da Freud, sebbene numerosi fenomeni in cui vi è ritorno dal processo secondario al processo primario possano essere classificati sotto questa denominazione (passaggio dal funzionamento secondo l'identità di pensiero al funzionamento secondo l'identità di percezione). Si può accostare ciò che Freud chiama regressione formale a ciò che la “psicologia della forma” e la neurofisiologia d'ispirazione jacksoniana chiamano destrutturazione (di un comportamento, della coscienza, ecc.). L'ordine che è qui presupposto non è quello di una successione di fasi effettivamente percorse dall'individuo, ma quello di una gerarchia delle funzioni o delle strutture. Nel quadro della regressione temporale, Freud distingue, secondo diverse linee genetiche, una regressione riguardante l'oggetto, una regressione riguardante la fase libidica e una regressione nell'evoluzione dell'Io. Tutte queste distinzioni non rispondono soltanto a un intento di classificazione. Esiste infatti in alcune strutture normali o patologiche uno scarto tra i diversi tipi di regressione; Freud nota per esempio che “...nell'isteria si ha una regressione della libido agli oggetti sessuali incestuosi primari e ciò in modo molto regolare, mentre non è presente una regressione a uno stadio anteriore dell'organizzazione sessuale”.

Freud ha spesso insistito sul fatto che il passato infantile - dell'individuo e dell'umanità - rimane sempre in noi: “Gli stati primitivi possono sempre essere ripristinati. Lo psichico primitivo nel pieno senso della parola, imperituro”. Egli ritrova questa idea di un ritorno indietro nei campi più diversi: psicopatologia, sogni, storia delle civiltà, biologia, ecc. Il riaffiorare del passato nel presente è implicito anche nel concetto di coazione a ripetere. Questa idea d'altronde nel linguaggio di Freud non è espressa soltanto col termine Regression, ma anche con termini affini come Ruckbildung, Ruckwendung, Ruckgrezfen, ecc. Come Freud stesso ha notato, il concetto di regressione è piuttosto un concetto descrittivo. Non basta evidentemente addurre il fatto della regressione per comprendere in quale forma il soggetto ritorna al passato. Alcuni stati psicopatologici inducono nettamente a intendere la regressione in modo realista: lo schizofrenico, si dice talvolta, ridiventerebbe un lattante, il catatonico ritornerebbe allo stato fetale. Evidentemente non si può dire nello stesso senso dell'ossessivo che egli è regredito allo stadio anale. Nel transfert si può parlare di regressione solo in un senso ancora più limitativo, riferendosi cioè al comportamento globale del paziente.

Notiamo che le distinzioni freudiane, pur non fornendo un fondamento teorico rigoroso al concetto di regressione, hanno tuttavia un interesse teorico in quanto impediscono che la regressione venga concepita come un fenomeno globale. In questa direzione, va notato inoltre che la nozione di regressione è accoppiata a quella di fissazione e che quest'ultima non può essere ridotta alla formazione di un pattern di comportamento. Nella misura in cui la fissazione va intesa come una “trascrizione”, la regressione può essere interpretata come una riattivazione di ciò che fu “trascritto”. Quando si parla, specie nella cura, di “regressione orale” bisognerebbe intendere, in questa prospettiva, che il soggetto ritrova nelle proprie parole e nei propri atteggiamenti ciò che Freud ha chiamato “il linguaggio della pulsione orale”.

REPRESSIONE. = D.: Unterdruckung.

• A) In senso lato: operazione psichica che tende a far scomparire dalla coscienza un contenuto spiacevole o inopportuno: idea, affetto, ecc. In questo senso, la rimozione sarebbe una particolare forma di repressione. B) In senso più ristretto, designa alcune operazioni del senso A diverse dalla rimozione: a) per il carattere conscio dell'operazione e per il fatto che il contenuto represso diventa semplicemente preconscio e non inconscio; b) oppure, nel caso della repressione di un affetto, perché quest'ultimo non viene trasposto nell'inconscio, ma viene inibito o addirittura soppresso. C) In alcuni testi tradotti dall'inglese, equivalente erroneo di Verdrängung (rimozione).

• Il termine di repressione è usato spesso nella psicanalisi, ma il suo uso non è ben codificato. Anzitutto, va escluso da un uso coerente il senso C. I traduttori inglesi di Freud rendono in generale Verdrangung con repression, utilizzando all'occorrenza per Unterdruckung il termine di suppression. Ma il calco sull'inglese repression non è giustificato, giacché il termine di “rimozione” è consacrato e soddisfacente, mentre il termine di “repressione” possiede già un uso corrente che corrisponde bene al tedesco Unterdrackung. Sarebbe anche opportuno, nelle traduzioni di testi inglesi, rendere repression con “rimozione”. Il senso A si incontra talora in Freud, per esempio nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905) , ma in generale non è d'uso corrente. Va notato che questo senso non ricopre l'insieme dei “meccanismi di difesa”, giacché alcuni di essi non implicano l'esclusione di un contenuto dal campo della coscienza (per esempio, l'annullamento retroattivo). Il senso più frequente, presente già in L'interpretazione dei sogni (1900), è il senso B, specie il senso B a). In questo senso la repressione si oppone, soprattutto dal punto di vista topico, alla rimozione, nella quale l'istanza rimovente (l'Io), l'operazione e il suo risultato sono inconsci. La repressione sarebbe invece un meccanismo conscio che opera al livello della “seconda censura” che Freud colloca tra il conscio e il preconscio; si tratterebbe di una esclusione dal campo di coscienza attuale e non del passaggio da un sistema (preconscio-cosciente) a un altro (inconscio). Dal punto di vista dinamico, le motivazioni morali svolgono nella repressione un ruolo predominante. La repressione va inoltre distinta dal giudizio di condanna (Verurteilung), che può motivare un rigetto fuori della coscienza, ma non lo implica necessariamente. Notiamo infine che il senso B b) si incontra soprattutto nella teoria freudiana della rimozione per designare la sorte dell'affetto. Infatti, per Freud, solo il rappresentante ideativo della pulsione è, propriamente parlando, rimosso, mentre l'affetto non può diventare inconscio: esso è trasformato in un altro affetto oppure è represso “... sicché non si trova più nulla di esso”, oppure “...non gli corrisponde più altro [nel sistema inconscio] che un rudimento che non è riuscito a svilupparsi”.

RIFLESSIONE SULLA PROPRIA PERSONA. = D.: Wendung gegen die eigene Person.

• Processo con cui la pulsione sostituisce un oggetto indipendente con la persona propria. Vedi: Conversione nell'opposto.

RIPARAZIONE. = D.: Wiedergutmachung. - En. : reparation.

• Meccanismo, descritto da Melanie Klein, con cui il soggetto cerca di riparare gli effetti dei suoi fantasmi distruttori sul suo oggetto d'amore. Questo meccanismo è legato all'angoscia e alla colpevolezza di carattere depressivo: la riparazione fantasmatica dell'oggetto materno esterno e interno consentirebbe di superare la posizione depressiva garantendo all'lo una identificazione stabile con l'oggetto benefico.

• Notiamo anzitutto che si incontrano negli scritti di Melanie Klein vari termini in sensi molto affini: Wiederherstellung (in inglese: restoration); Wiedergutmachung (in inglese: restitution o reparation; quest'ultimo è preferito dall'autrice nei suoi scritti più recenti). Questi termini vanno intesi con le loro varie sfumature semantiche, specie “riparazione” che si ritrova sia in “riparare qualcosa” che in “dar riparazione a qualcuno”. Il concetto di riparazione va inquadrato nella concezione kleiniana del sadismo infantile precoce, che si esprime in fantasmi di distruzione (Zerstorung), tagliuzzamento (Ausschneiden; Zerschneiden), divorazione (Fressen), ecc. La riparazione è legata essenzialmente alla posizione depressiva contemporanea all'avvento di una relazione oggettuale totale. Il bambino tenta di mantenere o di ripristinare l'integrità del corpo materno in risposta all'angoscia e alla colpevolezza inerenti a questa posizione. Diversi fantasmi attualizzano questa tendenza a riparare “il disastro provocato dal suo sadismo”: preservare il corpo materno dagli attacchi degli oggetti cattivi, raccogliere i frammenti sparsi, rianimare chi è stato ucciso, ecc. Rendendo così all'oggetto d'amore la sua integrità ed eliminando tutto il male che gli è stato fatto, il bambino si garantirebbe il possesso di un oggetto pienamente “buono” e stabile la cui introiezione rafforza il suo lo. I fantasmi di riparazione hanno così un ruolo strutturante nello sviluppo dell'Io. I meccanismi di riparazione, se sono instabili, possono assomigliare talvolta alle difese maniache (senso di onnipotenza), talaltra a meccanismi ossessivi (ripetizione coatta delle azioni riparatrici). Il successo della riparazione suppone, secondo M. Klein, la vittoria delle pulsioni di vita sulle pulsioni di morte. Melanie Klein ha sottolineato il ruolo svolto dalla riparazione nel lavoro del lutto e nella sublimazione: “...lo sforzo per eliminare lo stato di disintegrazione al quale [l'oggetto] è stato ridotto presuppone la necessità di renderlo bello e perfetto”.

SCISSIONE DELL'IO. = D.: Ichspalturig.

• Termine usato da Freud per designare un fenomeno molto particolare, che egli individua soprattutto nel feticismo e nelle psicosi: la coesistenza in seno all'Io di due atteggiamenti psichici nei confronti della realtà esterna che si oppone a un'esigenza pulsionale: l'una tiene conto della realtà, l'altra la nega e la sostituisce con un prodotto del desiderio. Questi due atteggiamenti persistono l'uno accanto all'altro senza influenzarsi reciprocamente.

• I. - Il termine di Spaltung, per il quale adottiamo l'equivalente italiano “scissione”, è usato da tempo in vari modi nella psicanalisi e nella psichiatria; numerosi autori, tra cui Freud, l'hanno utilizzato per designare il fatto che l'uomo, sotto un qualche aspetto, si divide da se stesso. Alla fine del XIX secolo, i lavori psicopatologici, specie sulla isteria e l'ipnosi, sono impregnati di concetti come “sdoppiamento della personalità”, “double conscience”, “dissociazione dei fenomeni psicologici”, ecc. In Breuer e Freud, le espressioni “scissione della coscienza” (Bewusstseinsspaltung), “scissione del contenuto di coscienza”, “scissione psichica”, designano gli stessi fatti: partendo dagli stati di sdoppiamento alternante della personalità o della coscienza quali sono mostrati dalla osservazione clinica di certi casi di isteria o quali sono provocati dall'ipnosi, Janet, Breuer e Freud sono passati all'idea di una coesistenza in seno allo psichismo di due gruppi di fenomeni, anzi di due personalità che possono ignorarsi reciprocamente. “Dopo i bei lavori di P. Janet, J. Breuer ed altri, si è ormai giunti ad ammettere in linea generale che il complesso sintomatico dell'isteria giustifica l'ipotesi di una scissione della coscienza con formazione di gruppi psichici separati. Le opinioni sono meno nette in merito all'origine di tale scissione di coscienza e sul ruolo svolto da questa caratteristica nel complesso della nevrosi isterica”. E’ in questa divergenza di opinioni che si inserisce la nozione freudiana dell'inconscio come separato dal campo della coscienza per azione della rimozione, concezione che si oppone alle tesi di Janet sulla “debolezza della sintesi psicologica” e si distingue presto dalle nozioni breueriane di “stato ipnoide” e di “isteria ipnoide“

La scissione per Freud è il risultato del conflitto; si tratta quindi di un concetto che ha un valore descrittivo, ma è privo di un valore esplicativo. Anzi, esso pone il problema di fondo: come e perché il soggetto cosciente si è così separato da una parte delle sue rappresentazioni? Quando Freud delinea la storia degli anni in cui è giunto alla scoperta dell'inconscio, non manca di utilizzare il termine di Spaltung e termini analoghi che designano questo stesso dato fondamentale: la divisione intrapsichica. Ma, nell'elaborare la sua opera, utilizza solo saltuariamente e senza farne uno strumento concettuale il termine di Spaltung, soprattutto per designare il fatto che l'apparato psichico è separato in sistemi (inconscio e preconsciocosciente), in istanze (Es, lo e Super-io), oppure lo sdoppiamento dell'Io in una parte che osserva e una parte che è osservata.

E' noto che Bleuler ha utilizzato il termine di Spaltung per designare il sintomo fondamentale, secondo lui, del gruppo di affezioni da lui chiamato schizofrenia (cc). Per questo autore, Spaltung non si limita a designare un dato dell'osservazione, ma indica una certa ipotesi sul funzionamento mentale. A questo riguardo, non si può non essere colpiti dall'analogia che presentano il tipo di spiegazione proposto da Bleuler per rendere conto della Spaltung schizofrenica e quello di Janet: la scissione dello psichismo in gruppi associativi distinti è concepita come un raggruppamento secondario in seno a un mondo psichico disgregato a causa di una debolezza associativa primaria. Freud non fa sua l'ipotesi di Bleuler, critica il termine di schizofrenia che a essa si ricollega e, quando riprende il concetto di scissione, verso la fine della sua vita, lo fa in una prospettiva completamente diversa.

II. - Il concetto di scissione è messo in luce da Freud principalmente negli articoli Feticismo (1927), La scissione dell'lo nel processo di difesa (1938), e nel Compendio di psicanalisi (1938), con riferimento alle psicosi e al feticismo. Secondo Freud, queste affezioni coinvolgono principalmente le relazioni tra l'Io e la “realtà”, dalle quali egli desume sempre più decisamente l'esistenza di un meccanismo specifico, il diniego (Verleugnung), il cui prototipo è il diniego della castrazione. Ora, il diniego non consente da solo di spiegare ciò che l'osservazione clinica costata nelle psicosi e nel feticismo. Infatti, nota Freud, “il problema della psicosi sarebbe semplice e trasparente se il distacco dell'Io dalla realtà fosse realizzabile senza residui, ma ciò sembra avvenire di rado e forse mai”. In qualsiasi psicosi, anche la più profonda, si può ritrovare l'esistenza di due atteggiamenti psichici: “...l'uno, che tiene conto della realtà, l'atteggiamento normale; l'altro che, sotto l'influenza delle pulsioni, distacca l'Io dalla realtà”. Questo secondo atteggiamento si traduce nella produzione di una nuova realtà delirante. Nel feticismo, è in rapporto alla “realtà” della castrazione che Freud ritrova la coesistenza in seno all'Io di due atteggiamenti contiaddittori: “Da un lato [i feticisti] negano il fatto della loro percezione per cui hanno visto il genitale femminile senza pene”; questo diniego si traduce nella creazione del feticcio, che serve come surrogato del pene della donna; ma “... d'altra parte, essi riconoscono la mancanza di pene nella donna, da cui traggono le conseguenze corrette. Questi due atteggiamenti persistono l'uno accanto all'altro durante tutta la vita senza influenzarsi reciprocamente E ciò che si può chiamare una scissione dell'Io”. Questa scissione, come si vede, non è, propriamente parlando, una difesa dell'Io, ma un modo di far coesistere due procedimenti di difesa, l'uno rivolto verso la realtà (diniego), l'altro verso la pulsione; quest'ultimo può portare alla formazione di sintomi nevrotici (sintomo fobico, per esempio).

Freud, nell'introdurre il termine di scissione dell'Io, si è chiesto se tale concetto fosse “noto da tempo e ovvio oppure del tutto nuovo e sorprendente)“. Infatti, l'esistenza in seno ad uno stesso soggetto di “...due atteggiamenti psichici diversi, contrari e indipendenti l'uno dall'altro” è alla base stessa della teoria psicanalitica della persona. Ma, descrivendo una scissione dell'Io (intrasistematica) e non una scissione tra istanze (tra l'Io e l'Es), Freud vuole porre in evidenza un processo nuovo rispetto al modello della rimozione e del ritorno del rimosso. Infatti, una delle particolarità di questo processo è di non giungere alla formazione di un compromesso tra i due atteggiamenti in presenza, bensì di mantenerli simultaneamente senza che si stabilisca tra loro una relazione dialettica. Non è privo di interesse notare che proprio nel campo della psicosi (lo stesso in cui anche Bleuler, in una concezione teorica diversa, parla di Spaltung) Freud ha sentito il bisogno di elaborare una determinata concezione della scissione dell'Io, Ci è parso utile metterla qui in evidenza, sebbene sia stata poco ripresa dagli psicanalisti; essa ha infatti il merito di sottolineare un fenomeno psichico, anche se non fornisce una soluzione teorica pienamente soddisfacente.

SCISSIONE DELL'OGGETTO. = D.: Objelctspaltung. - En.: splitting of the object.

• Meccanismo descritto da Melanie Klein, che lo considera come la difesa più primitiva contro l'angoscia: l'oggetto verso cui convergono le pulsioni erotiche e distruttive, è scisso in un oggetto “buono” e uno “cattivo”, che subiranno destini relativamente indipendenti nel gioco delle introiezioni e delle proiezioni. La scissione dell'oggetto è in azione principalmente nella posizione paranoide-schizoide, in cui è applicata a oggetti parziali. Essa si presenta anche nella posizione depressiva, in cui riguarda però l'oggetto totale. La scissione degli oggetti è accompagnata da una corrispondente scissione dell'lo in Io “buono” e Io “cattivo”. Per la scuola kleiniana, l'lo è costituito essenzialmente dall'introiezione degli oggetti.

• Sul termine di scissione, si veda il commento alla voce: Scissione dell'Io. Le concezioni di Melanie Klein si rifanno ad alcune indicazioni di Freud in merito alle origini della relazione soggetto-oggetto. Sull'apporto kleiniano in questo campo, rinviamo il lettore alle voci: Oggetto “buono”, oggetto “cattivo”; Posizione paranoide; Posizione depressiva.

SPOSTAMENTO D. : Verschiebung.

• Trasferimento dell'accento, dell'interesse, dell'intensità di una rappresentazione da questa ad altre rappresentazioni originariamente poco intense, collegate alla prima da una catena associativa. Tale fenomeno, individuabile particolarmente nell'analisi dei sogni, è reperibile anche nella formazione dei sintomi psiconevrotici e in generale in ogni formazione dell'inconscio. La teoria psicanalitica dello spostamento fa appello all'ipotesi economica di una energia di investimento capace di staccarsi dalle rappresentazioni e scorrere lungo vie associative. Il “libero” spostamento di questa energia è uno dei caratteri principali del processo primario che dirige il funzionamento del sistema inconscio.

• 1) Il concetto di spostamento compare fin dagli inizi della teoria freudiana delle nevrosi, in relazione alla costatazione clinica di una relativa indipendenza tra l'affetto e la rappresentazione, e alla ipotesi economica che tende a darne una spiegazione: quella di una energia di investimento “... che può essere aumentata, diminuita, spostata, scaricata”. Questa ipotesi è ampiamente sviluppata nel modello che Freud dà del funzionamento dell' “ apparato neuronico” nel suo Progetto per una psicologia scientifica (1895): la “quantità” si sposta lungo vie costituite dai neuroni, i quali, secondo il “principio dell'inerzia neuronica”, tendono solo a scaricarsi totalmente. Il processo “totale o primario” è caratterizzato dallo spostamento della totalità dell'energia da una rappresentazione a un'altra. Per esempio, nella formazione di un sintomo, di un “simbolo mnestico” di tipo isterico: “ ... solo la distribuzione della quantità sarebbe stata alterata. E’ stato aggiunto qualcosa [alla rappresentazione] A, che è stato sottratto a B. Il processo patologico è quello dello spostamento, simile a quelli che abbiamo incontrato nei sogni; esso è quindi un processo primario. Nel processo secondario, si ritrova lo spostamento, ma limitato nel suo percorso e riguardante piccole quantità di energia. Dal punto di vista psicologico si può costatare in Freud una apparente oscillazione quanto all'estensione da dare al termine di spostamento. Talora egli contrappone lo spostamento, fenomeno che si verifica tra rappresentazioni e caratterizza più particolarmente la nevrosi ossessiva (formazione di un surrogato mediante spostamento: Verschiebungsersatz), alla conversione in cui l'affetto è soppresso e l'energia di investimento cambia registro passando dal campo rappresentativo a quello somatico. Talora lo spostamento pare caratterizzi ogni formazione sintomatica, in quanto la soddisfazione può essere “... limitata, con uno spostamento estremo, a un piccolo dettaglio di tutto il complesso libidico”. In questo senso, la conversione implica anch'essa uno spostamento, per esempio lo spostamento del piacere dalla zona genitale a un'altra zona somatica.

2) Lo spostamento è stato messo particolarmente in evidenza da Freud nel sogno. Dal confronto tra il contenuto manifesto e i pensieri latenti del sogno risulta infatti una differenza di focalizzazione: gli elementi più importanti del contenuto latente sono rappresentati da dettagli minimi costituiti da fatti recenti, spesso indifferenti, o da fatti antichi su cui uno spostamento si era già operato nell'infanzia. In questa prospettiva descrittiva, Freud è indotto a distinguere i sogni con spostamento dai sogni senza spostamento. In questi ultimi “...nella formazione del sogno i singoli elementi possono benissimo mantenere il posto che occupano nei pensieri del medesimo”. Tale distinzione appare sorprendente se, ci si attiene all'affermazione di Freud secondo cui il libero spostamento è un modo di funzionamento caratteristico dei processi inconsci. Freud non nega che si possano operare spostamenti su ogni elemento di un sogno; ma in L'interpretazione dei sogni (1900) egli utilizza più spesso il termine di Ubertragung (transfert o traslazione) per designare nella sua generalità il passaggio dell'energia psichica da una rappresentazione a un'altra, mentre con Verschiebung (spostamento) designa piuttosto un fenomeno descrittivamente sorprendente, più pronunciato in alcuni sogni che in altri, e che può portare a un cambiamento della visuale del sogno: la “trasmutazione dei valori psichici”. Nell'analisi del sogno lo spostamento è strettamente legato agli altri meccanismi del lavoro onirico: esso favorisce infatti la condensazione in quanto lo spostamento lungo due catene associative porta a rappresentazioni o a espressioni verbali che costituiscono dei punti di intersezione. La raffigurabilità è facilitata quando, con lo spostamento, si effettua un passaggio da un'idea astratta a un equivalente capace di essere visualizzato; l'interesse psichico si traduce allora in intensità sensoriale. Infine, l'elaborazione secondaria continua il lavoro dello spostamento, subordinandolo alle proprie finalità.

Nelle varie formazioni in cui è individuato dall'analista, lo spostamento ha un'evidente funzione difensiva: in una fobia, per esempio, lo spostamento sull'oggetto fobico consente di obiettivare, di localizzare, di circoscrivere l'angoscia. Nel sogno il suo legame con la censura è tale che esso può apparire come un effetto di essa: “Is fecit, cui prodest. Possiamo supporre che lo spostamento onirico si attui per influsso della censura, della difesa endopsichica”. Ma, nella sua essenza, lo spostamento, in quanto rivela una libertà di movimento, costituisce l'indice più sicuro del processo primario: “[Nell'inconscio] regna una ben più grande mobilità delle intensità di investimento. Con il processo dello spostamento una rappresentazione può cedere a un'altra tutto l'importo del suo investimento”. Queste due tesi non sono contraddittorie: la censura provoca lo spostamento solo in quanto rimuove determinate rappresentazioni preconsce, le quali, una volta attratte nell'inconscio, sono soggette alle leggi del processo primario. La censura utilizza il meccanismo di spostamento privilegiando le rappresentazioni indifferenti, attuali o capaci di inserirsi in contesti associativi molto lontani dal conflitto difensivo. Il termine di spostamento non privilegia in Freud un determinato tipo di legame associativo, per contiguità o per somiglianza. Il linguista Roman Jakobson ha ricollegato i meccanismi inconsci descritti da Freud ai procedimenti retorici della metafora e della metonimia, da lui considerati come i due poli fondamentali di qualsiasi linguaggio; egli accosta lo spostamento alla metonimia in cui è presente il legame di contiguità, mentre il simbolismo corrisponderebbe alla condizione metaforica in cui domina l'associazione per somiglianza. J. Lacan, riprendendo e sviluppando queste indicazioni, assimila lo spostamento alla metonimia e la condensazione alla metafora; il desiderio umano è strutturato fondamentalmente dalle leggi dell'inconscio e costituito eminentemente come metonimia.